Erano parecchi giorni, ormai, che i dodici vagabondavano per la Galilea insieme al Maestro. Ogni tanto confabulavano tra loro: certo Lui sapeva dove voleva andare… ma a loro la faccenda non era chiara per niente! Oltre a tutto si era messo a parlare in modo strano; e non solo alla gente che accorreva per ascoltarlo, ma anche a loro. A volte si guardavano in faccia perplessi e sconcertati: Gesù parlava di sofferenze terribili che lo attendevano e che, in qualche modo avrebbero coinvolto anche loro… non capivano granché di tutto questo. La sola cosa di cui erano certi era che non sarebbero stati capaci di allontanarsi da Lui: le sue parole – ma più ancora la Sua compagnia – erano ciò che dava senso alla loro vita. Quella mattina si stavano affaccendando nelle solite incombenze mattutine: il sole ancora non era alto e loro parlottavano cercando di programmare al meglio la giornata.
“Pietro, e voi due, Giacomo e Giovanni, venite con me” li chiamò Gesù.
Giovanni, il più giovane dei tre, ancora mezzo addormentato, sentiva di avere qualcosa da ridire sul comportamento del Maestro e non riuscì proprio a trattenersi:
“Chissà perché non ci domanda mai: ‘Hai voglia di venire? Te la senti di seguirmi?’ No, si limita sempre a chiamarti. E se non mi andasse?”
“Beh, Lui ti chiama; sta a te rispondere sì o no” gli rispose Giacomo, suo fratello maggiore. Poi, notando che Giovanni stava ancora sbadigliando stiracchiandosi, aggiunse in tono canzonatorio: “Potresti sempre dirgli che non ne hai voglia, ma faresti la figura del pigrone, fratellino!”
“Su, voi due, sbrigatevi! Il Maestro è già partito. Chissà poi perché ha chiamato proprio noi tre” borbottò Pietro.
In effetti Gesù stava già avviandosi lungo la strada diretta al monte Tabor, che si ergeva isolato, a poca distanza; e, camminando davanti a loro, sorrideva per quello scambio di battute.
La strada ben presto cominciò a salire. Era un percorso un po’ accidentato che si inerpicava per le ripide pendici del monte, o piuttosto della collina: ma così, isolata nella pianura, l’altura si presentava davvero imponente, guadagnandosi il titolo di “monte”. Beh, monte o collina che fosse, certo la strada per salirla era lunga e bella ripida, e benché gli alberi ogni tanto fornissero un po’ di ombra, il caldo della giornata incominciava a farsi sentire… e i sassi anche!
“Ahi! Un sasso mi è arrivato proprio sul piede” si lamentò Pietro
“E tutta la ghiaietta che si infila nei sandali!? Che fastidio!” gli fece eco Giacomo
“Dov’è finita tutta la buona volontà che mi avete mostrato prima? Guardate Gesù, con che bel passo regolare sta salendo… e risparmiate il fiato per camminare”: a Giovanni, che ora si sentiva in forma perfetta, non sembrava vero di poter prendere un po’ in giro i suoi compagni e aveva tutte le intenzioni di divertirsi così fino alla meta. Già: ma qual era la meta?
Giacomo sembrò quasi intercettare il pensiero del fratello: “Ma insomma! Dobbiamo proprio salire fino in cima? E perché, poi?”
“E che ne so, io?” rispose Pietro, fermandosi un attimo a tirare il fiato.
“Chiediglielo tu: a te dà retta…” insisté Giacomo, fermandosi anche lui, ansimante.
“Ma figurati, darmi retta! Ma se l’ultima volta che ho osato contraddirlo, dicendogli che non era giusto che continuasse a parlare delle sofferenze che lo aspettano – perché Lui non se le merita proprio! – mi ha allontanato, chiamandomi perfino Satana…”
Giovanni intanto aveva raggiunto Gesù e, che fosse per curiosità o per la compassione dei due compagni rimasti indietro, gli rivolse semplicemente la domanda che gli altri due non avevano avuto il coraggio di formulare: “Fin dove dobbiamo salire, Maestro? E perché?”
Gesù si voltò a guardarli con un sorriso affettuoso e un po’ ironico: “Ma come? Siete già così stanchi da non riuscire a seguirmi?” Improvvisamente il Suo sguardo si velò: ebbe la visione di una notte, in un futuro ormai prossimo, in cui avrebbe chiesto aiuto a quegli stessi uomini per vegliare e pregare con Lui e in cui di nuovo non avrebbero retto alla stanchezza… ma si trattò solo di un attimo. Con un’occhiata più acuta controllò che non si fossero accorti di nulla; poi, sorridendo apertamente: “Venite con me fino in cima: allora capirete.” E riprese a salire.
“Proprio fino in cima?” Pietro sembrava sconsolato.
“Che ci vuoi fare? – rispose Giacomo – In ogni caso lo sai anche tu che se Lui ci dice di seguirlo noi lo seguiamo: ormai sono anni che questa è la regola della nostra vita, anche quando non capiamo bene dove ci vuole portare…”
“Su allora, pigroni!” Giovanni si divertiva proprio a rimproverarli con lo stesso epiteto che gli avevano appioppato loro all’inizio!
E finalmente arrivarono in cima.
I tre si sedettero immediatamente su alcuni sassi piatti per guardarsi comodamente intorno.
“Certo che il panorama, da quassù, è davvero bellissimo!” disse Pietro, ancora ansimante.
“Guarda laggiù, all’orizzonte: si vede il mare!” Giovanni era incantato.
“E da questa altra parte c’è il Giordano: però, quanto siamo saliti!” disse Giacomo, soddisfatto.
All’improvviso i tre si accorsero che stava succedendo qualcosa di strano: era come se la luce di quella limpida mattina avesse iniziato a tremare intorno a loro, per poi crescere di intensità, e crescere, crescere fin quasi ad abbagliarli. Si girarono verso Gesù, ritto in piedi sulla cima: quella luce proveniva proprio da Lui. Ma la cosa più straordinaria era il suo volto: conoscevano bene i Suoi lineamenti, erano quelli di un amico che amavano e che avevano accettato di seguire abbandonando ogni altra cosa… Ma ora sembrava che quella luce lo trasfigurasse: era come se tutta la bellezza del creato fosse concentrata nel Suo volto. I Suoi occhi risplendevano del fulgore di ogni cosa bella che il Padre aveva creato, dalle stelle più luminose del firmamento alle corolle profumate dei fiori…
“Ecco: il Maestro ci ha detto di essere il Figlio del Padre: mi sembra che in Lui adesso si rifletta tutta la bellezza che il Padre ha creato per Lui, e che Lui ora la doni a noi, qui, perché possiamo contemplarla…” Intuizioni rapide eppure chiare come lampi, attraversavano la mente di Giovanni, quasi senza che lui se ne rendesse conto.
D’un tratto accanto a Gesù tutti e tre videro comparire due figure: senza bisogno di spiegazioni, compresero che si trattava di Mosè e di Elia.
Giovanni, Giacomo e Pietro erano ora di fronte a Gesù, lo udivano conversare con questi uomini straordinari che avevano segnato la storia di Israele, che era poi la stessa storia in cui si collocava la loro piccola vicenda personale. Così si sentivano pienamente immersi nell’amore fedele del Padre per il suo popolo: era lì, davanti ai loro occhi, quell’amore, raffigurato nella conversazione tra Gesù, Mosè e Elia. In quel momento sembrò naturale a loro udire la voce del Padre:
“Questo è il Figlio mio, l’amato. In Lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo”.
Quel Gesù che era loro amico, che avevano visto mentre operava cose straordinarie… ora, in quella luce, lo vedevano in tutto il suo splendore di Figlio di Dio; e la sua gloria si manifestava anzitutto nell’amore e nella bellezza…
Poi la visione scomparve, la luce tornò ad essere quella di sempre e anche l’aspetto del Maestro tornò quello solito; tuttavia nessuno dei tre voleva allontanarsi da quel luogo, tornare alla vita normale. Avevano l’impressione che solo rimanendo lì per sempre sarebbero riusciti a fissare in modo indelebile nel cuore e nella mente la bellezza di ciò che era successo. Ma Gesù li richiamò con dolcezza: era necessario rientrare nella normalità della vita. Dovevano accadere ancora molte cose, alcune terribili, altre inaspettatamente gioiose, prima che loro fossero in grado di comprendere fino in fondo ciò che era accaduto: quale dono straordinario aveva offerto a loro invitandoli a seguirlo sul monte Tabor!
“Per ora non dite a nessuno ciò che avete visto” raccomandò dunque Gesù ai tre amici.
Pietro, Giacomo e Giovanni, ancora inebriati, annuirono in silenzio. Tuttavia, insieme al ricordo, rimase per sempre nei loro cuori l’intuizione che era scaturita dalla visione di quel giorno. Lì, sulla cima del monte Tabor, avevano capito che la bellezza del mondo, quella che Dio ci ha donato nel creato come quella plasmata dall’arte degli uomini, è preziosa: è come un frammento che trova finalmente il suo posto nel progetto del Signore, capace di trasfigurare ogni limite e ogni imperfezione nell’armonia della Sua gloria.
N.B.: Nella tradizione bizantino-slava le icone, immagini davanti alle quali pregano i fedeli, erano sempre dipinte da monaci. La prima icona che il monaco iconografo dipingeva, dopo quaranta giorni di preghiera e di digiuno, all’alba, era proprio quella della Trasfigurazione.
LAURA GALVAN