Eguaglianza

CAFFÈ DEL NONNO SU: “ESSERE UGUALI?”

Caffè del nonno Le iniziative dei soci

Nonno Paolo:

Cosa vorremmo essere noi nella vita?

Forti intelligenti, belli, magari più forti, più intelligenti e più belli degli altri e, se non lo siamo, allora invidiamo quelli che lo sono più di noi. Ma, pensandoci bene, quel che vorremmo essere soprattutto è essere felici, essere realizzati, essere pienamente noi stessi, essere sicuri di noi stessi anche se non siamo i più belli, i più forti o i più intelligenti. In altre parole: avere un posto nel mondo e nel rapporto con gli altri, un compito nel mondo che piaccia a noi e agli altri.

Però siamo pieni di difetti e di incertezze

Siamo tribolati dal confronto con gli altri. Ci facciamo tante domande: perché io sono timido? perché non mi so difendere? perché non ho memoria? o non ho capacità di concentrazione? perché per difendermi, dico bugie oppure baro al gioco? perché fumo o bevo un po’ tanto? perché sono in una famiglia con pochi mezzi e pochi rapporti sociali? perché gli altri non stanno volentieri con me? perché non ho una ragazza o un ragazzo?

Qualcuno per sé

Come abbiamo visto nel Caffè del nonno sulle scelte di vita, noi non siamo capaci di conoscere bene noi stessi. Abbiamo bisogno di qualcuno, più grande che ci aiuti a conoscere noi stessi, qualcuno che ci voglia bene gratuitamente, cioè per il nostro destino, e che ci guidi. Può essere qualcuno che hai intorno, oppure un incontro con un maestro in senso lato, uno con un cuore grande che ci voglia bene per noi stessi, gratuitamente e saggiamente. Questo soggetto chiamiamolo: “Qualcuno per sé”.

Qualcuno per stare insieme

Ma come si fa a stare bene insieme gli uni con gli altri? con i fratelli con gli amici o con i compagni? In realtà torniamo a quel che abbiamo detto: ci vuole qualcuno; ancora dobbiamo dire: un genitore o un maestro, uno che ci vuol bene gratuitamente, che ci insegni il rispetto e il valore dell’uno e dell’altro. Questo soggetto chiamiamolo: “Qualcuno per stare insieme”. E’ qualcuno che non conosca solo me ma, per esempio, se siamo in famiglia, anche i miei fratelli, e quindi un genitore, oppure, se siamo tra amici, che conosca anche gli amici e quindi potrà essere un parente, un prete, un capo scout oppure ancora, se siamo a scuola, che conosca i miei compagni e quindi un maestro o un insegnante. E’ questa persona che ci rende fratelli, amici e compagni indicandoci una strada comune e valorizzando ciascuno per le sue doti, per le sue capacità e per la sua vocazione particolare. Così noi ci potremo accettare e voler bene e anche competere o gareggiare o rivaleggiare tra noi, ma sapendo che c’è qualcosa di più importante che il competere, che è il trovare la nostra particolare strada, trovare la nostra vera identità, il nostro io, ciò per cui il Creatore ci ha fatti.

Guardate che questa persona che aiuta a stare insieme e a trovare il senso delle cose e la strada di ciascuno non occorre soltanto ai piccoli ma anche ai grandi. Don Luigi Giussani era una persona così‘, un maestro, un educatore con i suoi giessini e poi ciellini, ma anche Robert Baden Powell con i suoi boy scout e le sue guide, e anche don Lorenzo Milani con i suoi ragazzi della Scuola di Barbiana, anche don Giovanni Bosco diventato santo stando con i suoi ragazzi, e San Filippo Neri fondatore degli oratori con i suoi ragazzi degli oratori, e Karol Woytila con i suoi amici e compagni polacchi con cui faceva teatro e anche dopo, diventato Papa Giovanni Paolo II, con i suoi fedeli, ma anche, come questi grandi, tanti maestri educatori meno noti e importanti che, per esempio, ho incontrato io e che potreste avere incontrato anche voi e di cui potreste parlare.

Problemi della vita scolastica e l’idea della parificazione degli studenti

Nella vostra vita scolastica avrete visto che quando uno è particolarmente debole nella lettura e scrittura o nel calcolo matematico è dichiarato dislettico o discalculico e gli vengono accordate delle facilitazioni nelle prove scolastiche. Se uno poi ha degli handicap più gravi gli viene attribuito un insegnante di sostegno. In questo modo si cerca di facilitare un recupero degli scolari o degli studenti che sono più indietro e più in ritardo. Il concetto fondamentale sul quale si basano questi correttivi è che tutti devono essere uguali o se non sono uguali devono diventarlo. Diciamo che il 6, il voto di sufficienza è il metro dell’uguaglianza. Quelli che stanno sopra il sei hanno un maggiore rendimento scolastico, sono scolasticamente più bravi. Quelli che stanno sotto il 6 o sono dei fannulloni oppure hanno, come dicevamo, un handicap. I fannulloni verranno bocciati perché non hanno raggiunto la misura della sufficiente eguaglianza. Per quelli con qualche handicap si cerca di aiutarli ad arrivare al sei. Il sei misura il rendimento scolastico, non lo sforzo che uno può fare per arrivare al 6, quindi non il merito. Tutta la scuola misura il rendimento e non il merito. Possono esserci degli intelligenti che senza sforzo arrivano ai voti alti ed altri che con grandissimo sforzo arrivano al 6. Alla scuola interessa la misura del rendimento, non il merito, interessa portare tutti ad una eguaglianza di rendimento, ad una sufficienza uguale di rendimento.

Siccome però molti sono diversi per tanti motivi e non si può renderli uguali sul livello del rendimento sufficiente allora accade spesso che si falsifichino i modi di misurare il rendimento o i modi di recuperare i rendimenti insufficienti.  Si finge cioè, con i voti, che siano stati raggiunti risultati di sufficiente uguaglianza che in realtà non sono stati raggiunti.

Tutto il sistema scolastico è ordinato su una tendenziale parificazione. Prima del 1962 esistevano la scuola media e la scuola di avviamento professionale; alla fine delle elementari i ragazzi sceglievano fra questi due indirizzi; solo la scuola media dava accesso al ginnasio-liceo e poi all’Università; dall’avviamento si poteva andare agli istituti tecnici o magistrali o professionali, che però avevano un limitato accesso all’università. Con una legge del 1962 si è creata la scuola media unica obbligatoria, quindi una scuola valida per tutti e obbligatoria sino ai 13/14 anni. Ecco una volontà di parificazione delle possibilità di tutti gli studenti. Poi con la legge Codignola del 1969 l’Università è stata aperta a tutte le scuole secondarie. In precedenza i diversi indirizzi di scuola (classico, scientifico, magistrale, tecnica) venivano scelti dopo la scuola media ma, come abbiamo detto, alcuni tipi di scuole portavano all’Università altri no. Anche questa fu una legge con intento parificatorio. Si sono volute parificare le situazioni degli studenti rispetto alle diverse scuole frequentate, considerare cioè uguali i punti di partenza, anche se poi si è visto che molti corsi universitari non sono risultati praticabili da tutti per la impreparazione degli studenti provenienti da certe scuole.

L’idea della “eguaglianza sostanziale”

Questa è dunque l’idea di una “eguaglianza sostanziale” che si traduce nella eguaglianza dei punti di partenza e delle situazioni di fatto. Quindi l’eguaglianza sostanziale bisogna promuoverla e lavorare per crearla, non basta affermarla.

Nel campo delle attività pubbliche (la salute, l’istruzione, la previdenza per i vecchi, l’assistenza in generale) secondo la concezione dominante, che è anche quella della nostra Costituzione, è lo Stato che deve provvedere con le sue leggi ad assicurare l’uguaglianza sostanziale, è lo Stato che deve mettere a disposizione dei più sfortunati dei mezzi che, superando le differenze fra le situazioni personali e di fatto, diano la possibilità di una vera eguaglianza. Avete visto che nella scuola questo, in un certo senso, è stato fatto, ma occorrono, per rendere effettivo questo intento, molta esperienza, molti mezzi e molte regole, peraltro elastiche.

Certo si tratta di una idea che ha in sé molta utopia, molta forzatura e molta astrazione. Cominciamo dall’utopia. Una idea utopica è un’idea che non tiene conto delle condizioni di fatto. Per esempio sapete che San Tommaso Moro che fu un politico e un giurista consigliere del Re d’Inghilterra Enrico VIII (dal 1529) e morì martire per la sua fede, scrisse un famosissimo libro intitolato “Utopia” che descrive una società ideale in cui Thomas More (San Tommaso Moro) non tiene conto e non vuol tener conto che nel mondo c’è il male. A proposito di una idea utopica pensate all’idea della parificazione quando vi è una enorme moltiplicazione delle differenze di fatto, come, ad esempio, può avvenire in una classe di scuola in cui molti scolari sono di diverse razze o etnie, e hanno lingue diverse, culture diverse, educazioni diverse e religioni diverse. Per esempio, per dire delle differenze, pensate che per una mentalità indi (che è la religione della maggioranza degli abitanti dell’India) una persona grassa è considerata benedetta da Dio, mentre per un europeo dei nostri giorni un corpo grasso è considerato un handicap. Poi possiamo dire della forzatura di questa “eguaglianza sostanziale”.

L’idea per esempio appare forzata quando si vogliono promuovere pari condizioni di fatto o pari situazioni di partenza per delle persone anche quando queste non lo vogliono affatto. Per un indiano che accetta la divisione della società in caste questo concetto di uguaglianza ha il significato di una forzatura ma anche per un arabo che ha una certa sostanziale distinzione dei compiti e dei ruoli fra donne e uomini. Infine vi è molta astrazione nell’idea perché la parificazione dei punti di partenza in molti casi dimentica che certe differenze non si possono cancellare: così probabilmente quella fra ricchi e poveri in quanto ci saranno sempre poveri che sono tali per loro incapacità, per loro prodigalità o perché loro disprezzano la vita da ricchi o, altro esempio, la differenza fra ignoranti e istruiti o fra istruiti di diversi livelli.

L’eguaglianza sostanziale è un “diritto”?

Per tutti questi motivi l’eguaglianza sostanziale non può essere considerata un “diritto” senza una complessa declinazione delle modalità di promozione nei singoli settori. Oggi per esempio la salute sembra un “diritto” a causa della grande organizzazione creata con il “servizio sanitario nazionale” SSN. Ma forse è più corretto dire che certe cure, certi tipi di cure sono un diritto, non tutte, e non la salute del cittadino in quanto tale. Facciamo ancora l’esempio dell’istruzione. Oggi supponiamo che tutti sappiano leggere e scrivere perché si è fatto un gran lavoro, si è creata una grande organizzazione per istruire gli abitanti del Paese. Si può certamente dire che imparare a leggere e scrivere in Italia è un “diritto”. Ma oggi ci sono i computers c’è l’web. Si può forse dire che la conoscenza di questo linguaggio, del linguaggio informatico è un “diritto”? che si è creata una uguaglianza sostanziale in questo campo? Non è così perché non c’è una struttura organizzativa che lo garantisce e perché gli anziani hanno obbiettive difficoltà all’apprendimento di codesto linguaggio e infine perché la conoscenza di questo campo implica la conoscenza dell’inglese, che non tutti conoscono né devono allo stato attuale conoscere. Si può certamente cercare di elevare il livello di istruzione informatica ma questo è un processo complesso e graduale che non è compiuto. Si tratta di una eguaglianza sostanziale non compiuta.  E sino a che non è compiuta, sino a che non è diventata un diritto, non si può basare l’accesso a certi altri diritti come quelli legati alle prestazioni della pubblica amministrazione al presupposto di una certa istruzione informatica. Si dovrà sempre offrire in questi casi una procedura non informatica.

L’idea della eguaglianza sostanziale c’è sempre stata?

Ma l’idea della eguaglianza sostanziale e dei conseguenti diritti di eguaglianza sostanziale (che oggi si dicono diritti sociali o diritti pretensivi perché implicano una pretesa nei confronti dello Stato, una pretesa che lo Stato si attivi), questa idea nella storia non c’è sempre stata. Dobbiamo vedere perciò come e quando è nata questa idea.

Quando nella storia moderna certe attività hanno favorito molto certe categorie di persone (i nobili, ma anche certi mercanti o certi borghesi e anche, in molti casi, il clero e i preti) e questi se ne sono approfittati, dimenticandosi del comandamento di Gesù della fratellanza e della solidarietà, e facendo diventare regole e norme i loro privilegi, sono esplosi molti disordini che hanno dato origine alla Rivoluzione francese (1789).  Ma i presupposti di quella situazione esplosiva si erano verificati già molto tempo prima. Nel 1717 nacque la Massoneria una associazione segreta che fu quanto di più contrario al principio di eguaglianza cristiano perché riuniva i migliori, gli intelligenti per farne una élite che prendesse la guida di tutto, dello Stato, delle amministrazioni, delle banche, delle industrie. La Massoneria c’è anche oggi e ha ricevuto nella UE un riconoscimento ufficiale del suo pensiero ispiratore e ci sono forme massoniche più blande e non segrete come i Rotary Club e i Lyons Club.

Già in un periodo precedente alla Rivoluzione francese, dalla pace di Westfalia del 1648 il potere temporale dei sovrani si era venuto staccando da una legittimazione ad esso precedente (religiosa del Papa o imperiale dell’Imperatore) e si era affermato come assoluto. E’ stato così che è nato lo Stato moderno dotato di una sovranità assoluta, che rifiuta di avere alcuna altra istituzione superiore o concorrente (sul suo territorio) e che rifiuta qualsiasi norma superiore a sé. Lo Stato moderno nasce nella forma dello Stato assoluto e il Re o Monarca è un Monarca assoluto. Ma lo Stato poi si afferma anche nei confronti del Monarca che, prima è legibus solutus cioè non soggetto alle leggi, ma poi, col tempo e progressivamente, diventa anch’egli soggetto alle leggi dello Stato. Ecco dunque che con lo Stato moderno nasce un nuovo soggetto dotato di personalità giuridica che assume la forma dello Stato assoluto. Allo stesso tempo codesto nuovo soggetto ebbe a manifestare tutta la sua pericolosità perché si trattava di un soggetto che, per la illimitatezza dei suoi poteri, avrebbe potuto attentare e cancellare anche le libertà e i diritti dei cittadini. E’ per questo che con le prime Costituzioni e le Dichiarazioni dei diritti (la Costituzione americana del 1789 e la Costituzione (1799) e la Dichiarazione dei diritti francese del 1789) si afferma l’idea di tutelare i cittadini e i loro diritti fondamentali, così come il principio di eguaglianza fra di essi, dalle possibili incursioni e lesioni che questo nuovo soggetto dal potere illimitato avrebbe potuto arrecare.

Con queste Costituzioni viene affermato per la prima volta il concetto della eguaglianza formale cioè della eguaglianza di fronte alla legge, che è ora la legge dello Stato. In precedenza le norme giuridiche nascevano non da una legge dello Stato ma piuttosto dalla giurisprudenza e dalla consuetudine. Nel 1804 nasce il primo codice, il Codice Napoleone che abolisce tutte le altre fonti diverse dal Codice.

Il riconoscimento della eguaglianza sostanziale è certamente una conseguenza della eguaglianza formale e tuttavia, nel senso che esso oggi ha assunto e che abbiamo ricordato prima, lo troviamo affermato molto tempo dopo in Italia, con la nostra Costituzione del 1948, e sviluppato poi attraverso una ampia legislazione ordinaria.

Ma allora l’eguaglianza sostanziale è in fondo un’utopia?

Si può forse pensare che lo Stato fornisca tutti i mezzi per una uguaglianza sostanziale? Per esempio garantisca a tutti un diritto al cibo e all’abitazione? Questo sarebbe il Paradiso terrestre ottenuto senza che a noi siano posti degli obblighi morali, per esempio, di aiutare gli altri, di solidarietà, di amore. Sarebbe una utopica società ben funzionante senza bisogno dell’amore. Ma ci andrebbe bene un bel meccanismo senza amore? In realtà il vero bisogno dell’uomo è quello di essere voluto bene. Si farebbe tutto con le tasse. Ma pensate che tutti sarebbero così ligi e convinti nel pagare le tasse? E non sorgerebbero degli spaventosi conflitti?

Forse dunque una eguaglianza procurata dallo Stato è una utopia. Nella storia questo si è dimostrato con il fallimento del comunismo. In realtà siamo tutti diversi e in diverse situazioni di fatto e poi lo Stato come lo intendiamo noi non esiste dappertutto. Anche il tentativo occidentale della cd. “globalizzazione” ha messo in luce l’utopia di questa idea. In realtà non siamo riusciti a globalizzare quasi niente tranne alcuni prodotti finanziari e commerciali e alcuni prodotti dello spettacolo, come films e televisione. Questi fenomeni però sono soprattutto l’effetto di una colonizzazione commerciale fatta da chi ha strutture tecnologiche e commerciali di livello superiore e quindi si trova in situazione monopolistica. Oggi peraltro il coronavirus sta minacciando la globalizzazione anche dei prodotti che abbiamo citati. Ci siamo un po’ dimenticati che l’uomo è fatto di anima e di corpo. Siamo in parte riusciti a aumentare l’uguaglianza sostanziale fra gli uomini per certi beni materiali. Invece non si riescono a integrare, a “globalizzare” le cose più importanti per esempio le persone che migrano. Non si riesce a diffondere e “globalizzare” (tranne casi eccezionali) la comprensione della vera cultura e della vera arte. Se la cultura come gerarchia dei valori è diversa fra gli uomini essa influenzerà inevitabilmente anche la vita materiale.

L’uguaglianza sostanziale può dunque riguardare la parte corporea o materiale del corpo dell’uomo. E lo spirito e l’anima dell’uomo?

Vorrei che adesso considerassimo per un momento la parte spirituale dell’uomo, la sua anima e potessimo constatare quanto profonde siano le diversità fra le civiltà e fra le culture del mondo, frutti della sua anima.

Prendiamo per esempio le architetture scavate nella roccia di Ellora in India. Guardate i templi del Kailasa o Paradiso di Siva, dio dell’induismo, come sono espressione di quella religione e allo stesso tempo lontani dalla nostra sensibilità. Guardate il Taj Mahal ad Agra in India un monumento funebre espressione della religione mussulmana, come anche questo è diverso e lontano dalla nostra sensibilità. Paragonate queste architetture con quella ad esempio di San Pietro in Roma. [Vengono mostrate le seguenti illustrazioni: Michel Delahoutre, Arte indiana, ediz. Jaca book 1996, tavole a colori 42 e 43; Islam Arte e architettura, a cura di Markus Hattstein e Peter Delius, ediz.  Gribaudo, 2007, p. 479 segg.].

Prendiamo poi nel campo della musica una musica che vien dagli indiani del West [Viene fatto sentire il CD New Fire di Scott August brano Heart of the Sky] oppure questa altra musica cinese [dal CD Flavor of Classical Chinese Music: Guzheng viene fatto sentire il primo pezzo per arpa: Music from Guangling]. Prendiamo infine la sonata “Al chiaro di luna” di Beethoven [Viene fatto sentire il primo movimento della Sonata per pianoforte n.14 eseguita da Wilhelm Backhaus] e potete capire l’immensa diversità fra queste forme espressive.

Sembrano questi e forse sono mondi diversi! Sono mondi diversi ma se gli uomini sono eguali come possono intendere queste diversità? Le possono intendere e capire perché c’è nell’uomo, in tutti gli uomini un carattere comune che è la tensione all’infinito, la tensione a Dio come compimento e perfezione delle sue esigenze fondamentali di bellezza, di giustizia e di verità. Questo carattere è comune a tutti e l’arte come sintesi dell’umano ne è espressione e per questo noi possiamo intendere ed emozionarci di fronte alle espressioni artistiche di tutto il mondo.

Visto questo possiamo tornare a ciò che rende uguali fuori dal formalismo di una formula legale. Ciò che ci rende uguali è dunque l’amore e l’arte. Più precisamente il rapporto tra uguali fonda nel mondo sulla fratellanza cristiana. Siamo fratelli e figli adottivi di Dio e fratelli di Cristo figlio generato da Dio padre. Gesù ha detto “Ama il tuo prossimo come te stesso” Questo fonda l’uguaglianza sull’amore che è per tutti, anche per i nemici.

Certo il fatto di essere tutti fratelli non toglie l’enorme diversità delle vocazioni che il Signore assegna a ciascuno per servire il suo Regno, non toglie le diversità nelle capacità personali, nelle condizioni familiari e sociali ma aggiunge un fattore fondamentale che è la solidarietà. La solidarietà compagina la società. La solidarietà è il contrario di quello che accade nella favola di Esopo della volpe e della cicogna. Ve la ricordate? [Viene ripresa la favola di Esopo]

Io ho parlato fin troppo, adesso tocca a voi ragazzi per il breve tempo che ci rimane.

Filippo: Io ho un compagno di classe cinese che ha delle difficoltà nel seguire le lezioni e le spiegazioni. Io cerco di aiutarlo. Facciamo un po’ fatica a capirci, usiamo un po’ di inglese un po’ di italiano e un po’ di gesti. Stiamo insieme nell’intervallo e allora ci raggiunge anche un altro cinese di un’altra classe.

Francesco: Sapete che istruisco nelle attività motorie una ragazza autistica che si chiama Sibilla. Ho fatto un gran lavoro con Sibilla che è anche stato oggetto della mia tesi di laurea specialistica per Scienze motorie. Poi è nato con lei anche un forte rapporto personale di amicizia. Sibilla ha gravi problemi e obiettive difficoltà. Non è normale. Se non è normale vuol dire che è un “peso” per la società. Ma cosa vuol dire “normale”? Il rapporto con lei mi mette alla prova. Anch’io ogni tanto mi chiedo: ma io sono normale? E’ normale chi ha il quadro completo delle capacità umane? E chi ce l’ha? Se facciamo un passo indietro e ci chiediamo chi è normale e chi non lo è vediamo che siamo tutti differenti e forse nessuno è normale. Il concetto di normale è una convenzione sociale variabile secondo i luoghi e le convivenze sociali. In realtà ciò che ci rende normali, ciò che veramente supera le differenze è l’amore, è l’affetto che ci lega. Soltanto questo una persona come Sibilla sente che la innalza e la fa sentire normale.

Caterina: La cosa più saggia per stare con gli altri è cooperare, mettere insieme le nostre qualità, i nostri difetti e le capacità e le caratteristiche personali di ciascuno di noi. Nella vita del nostro reparto di guide scout, ma anche nel rapporto con i miei compagni di classe ho capito questo e che fra di noi ci possiamo utilmente scambiare capacità e abilità diverse e che così ci arricchiamo vicendevolmente.

Beatrice: Essere uguali è impossibile. Non bisogna neanche aspirare ad essere uguali. Non ha senso omologarsi ad altri compagni o amici. Si può aspirare ad avere certe virtù o certe capacita di altri. Cos’è la normalità, essere una ragazza “normale”? Non ci sono parametri oggettivi e sostanziali per dire che uno è normale o che io sono normale. Dobbiamo sviluppare la nostra persona nella sua individualità, nella sua identità, questo è ciò cui aspiro a cui io tendo.

Carolina: Le disuguaglianze esisteranno sempre ed è un bene perché esse permettono di differenziarci e di rendere più bello il mondo. Il mondo è bello perché è vario. Anche io dico che è normale ammirare e ispirarsi a qualcun altro. Questo serve per spronarsi a migliorare. Stare insieme vuol dire aiutarsi, accettarsi e far sì che uno venga accettato per ciò che realmente è, per le sue qualità e per i suoi limiti.

Anna: L’uguaglianza davanti alla legge è un risultato non da poco nella legislazione e nella civiltà giuridica di un paese. Molti maggiori problemi pone l’eguaglianza sostanziale perché questa interferisce con il pensiero e la cultura di un popolo. Se perseguire una uguaglianza sostanziale tra le persone può avere come intento o come conseguenza quello di omologarne il pensiero, allora si persegue un intento sbagliato che urta contro il riconoscimento della libertà di pensiero e si rischia di costringere tutti ad essere uguali nel peggiore dei modi, ad essere cioè servi del potere costituito.

Kawthar: Dio ci ha creati tutti in modo che avessimo una singolarità e una differenziazione da tutte le altre specie della creazione: noi siamo una particolare specie, la specie umana. Dentro di essa vi sono genti di razze differenti. Dentro di essa ci sono tante differenze. Per esempio io ho diverse sorelle. Anche se ci assomigliamo in certe cose, siamo profondamente diverse. Dio non ci ha create uguali. E se fossimo tutte uguali non ci sarebbe neppure vita in noi, nella nostra famiglia, nelle nostre comunità.

Nonno Paolo:

La morale del discorso

Quale la morale del nostro discorso, ragazzi?

Dobbiamo desiderare di essere guidati, -anche noi adulti, notate bene- da dei maestri che sappiano educarci.

Dobbiamo prendere atto dei poteri attuali dello Stato. Guardate ad esempio adesso come, per ordine dello Stato, siamo tutti costretti a vivere a casa.

Dobbiamo combattere i privilegi assistiti dalla legge.

Dobbiamo sostenere tutte le forme di solidarietà e di aiuto che si sviluppano nella società e impegnarci in esse.

Dobbiamo sostenere il ruolo sussidiario dello Stato quando la solidarietà dei cittadini non riesce a provvedere.

Dobbiamo sostenere l’integrazione degli stranieri e dei migranti nella nostra società. Dobbiamo insegnare e praticare una cultura dell’umano valida per tutti e un’espressione artistica che valorizzi l’umano. In questo dobbiamo essere il più possibile aperti cercando di capire e di valorizzare tutte le autentiche espressioni culturali e artistiche.