In modalità digitale sulla piattaforma “Jitsi Meet” del 7 novembre 2020
Nonno Paolo: Ragazzi oggi capovolgiamo lo schema normale del nostro Caffè e cominciate voi a parlare. Sapete qual è l’argomento. Proseguiamo il tema de “La compagnia”. Era stato Filippo a suggerire questo tema. Allora, all’inizio dell’estate, eravamo in campagna tutti insieme e abbiam parlato del fenomeno della compagnia partendo dalla natura e abbiam visto che anche le piante e gli animali si fanno molta compagnia. Alla fine di quel Caffè siamo arrivati a dire della compagnia intorno a Gesù, ma a quel punto ci siamo lasciati e abbiamo rinviato. Ora siamo tutti a casa nostra bloccati dal Covid ma collegati con audio/video.
Io vi ho inviato alcune domande intorno al tema de “Il Figlio”. Su questo tema ci sono due capitoli diversi: “il figlio” con la effe minuscola e “il Figlio” con la effe maiuscola.
Cominciamo dal primo. Cosa vuol dire essere generati nella carne o nell’affetto? Domanda difficilissima perché nessuno si ricorda di quando era nella pancia della mamma. Poi però siete cresciuti e li avete conosciuti bene i vostri genitori e loro sono stati la vostra sicurezza per tanti anni. Ma, come sono stati la vostra sicurezza? Semplicemente con il loro esserci, con il loro esempio o di più con il loro fare? Avete forse pensato che il vostro padre e la vostra madre erano i migliori del mondo? e che la vostra storia era la storia più bella? loro rispondevano alle vostre domande, loro sapevano tutto, loro erano autorevoli, loro erano sicuri. In particolare loro vi hanno spinto a fare voi delle esperienze? loro vi hanno consigliato nei momenti difficili? avete avuto dei momenti in cui vi è sembrato di non farcela, di non riuscire a superare certe difficoltà? in questi momenti che ruolo hanno avuto il papà e la mamma? siete ricorsi al loro consiglio e al loro aiuto oppure avete pensato che, se volevate diventare grandi, le difficoltà dovevate sfangarvele voi? Avete sempre sentito un sentimento di fierezza della vostra storia e pensato che avreste sempre potuto ricorrere ai vostri genitori? Oppure, a un certo punto, a una certa età, avete pensato che la vostra famiglia non bastava, che dovevate conoscere di più il mondo e gli altri? E questo rivolgervi fuori della famiglia ha creato qualche contrasto con i vostri genitori?
Poi c’è il secondo capitolo di domande Ma noi siamo anche figli di Dio. Abbiamo anche un Padre celeste abbiamo Dio padre. Chi ci ha detto questo e come è possibile questo? Dio ci ha adottato? Ci ha adottato nello Spirito e nel Battesimo come dice la Chiesa oppure, Kawthar, cosa dice il Corano su questo? Il catechismo che avete fatto cosa vi ha insegnato sulla figliolanza da Dio? Se i vostri genitori vi hanno insegnato ad essere dei buoni cittadini, a studiare a essere gentili, cosa vi ha insegnato il sacerdote per essere figli di Dio, com’è il rapporto con Lui e cosa dobbiamo fare per essere dei buoni figli di Dio?
Filippo: Succede che la mamma si arrabbi con me. Per esempio una volta volevo fare il saputello e usare il forno ma l’ho programmato male e ho bruciato tutto e c’era il fumo in cucina. La mamma è, come si dice, uscita dai gangheri e mi ha molto sgridato. Poi certe volte ho difficoltà con la scuola soprattutto per fare i compiti; troppe pagine, troppo difficili; allora mi succede di rispondere male alla mamma. Quando rispondo male mi metto da solo in una stanza e ripenso a quello che ho fatto per imparare che non debbo comportarmi male. Mi è successo di stare col papà, io e lui da soli, per esempio quando facciamo in bicicletta una passeggiata a Rovellasca e andiamo alla gelateria di Rovellasca e allora io sono molto contento.
Francesco: I miei genitori sono sempre stati fondamentali nella mia vita, ma non sempre nello stesso modo e dentro uno stesso clima positivo di rapporti. Per esempio durante il liceo: in quegli anni ero una testa matta, prendevo brutti voti, avevo una condotta pessima e i miei genitori sentivano dagli insegnanti il mio cattivo andamento, crescevo in un delirio di personalità. Papà e mamma mi rimproveravano. Ma dove sono stati decisivi per me? Accettando che la libertà di scegliere fosse mia. Mi hanno educato indicandomi quali erano le cose buone e le cose cattive, mi hanno cioè educato a dare un giudizio sulle cose ma poi mi hanno sempre accettato com’ero con le mie scelte e le mie azioni sbagliate. All’Università le cose son cambiate. Io sono stato più motivato e più responsabile. Mentre al liceo il dialogo con i miei genitori era uno scontro, dopo no. Dopo era un rapporto libero. Io mi son sempre detto sinceramente e a loro non ho mai detto bugie. Papà, ma soprattutto mamma, hanno accolto i miei amici in casa a studiare e a cenare come se fossero loro figli e la casa è diventata un centro di raccolta, una casa anche loro e non solo papà e mamma hanno avuto un tale rapporto con i miei amici ma anche i miei genitori sono diventati profondamente amici dei genitori dei miei amici.
Anna: I miei genitori sono stati una presenza forte e costante. In tutte le mie vicende ci sono sempre stati, sia che le cose andassero bene sia che andassero male. Tuttavia mi hanno lasciato molta libertà. Sono sempre stata libera di fare anche altre esperienze anche all’estero, e quando le ho fatte non ho vissuto una contraddizione con quanto vivevo in famiglia, ho saputo valutarle e integrarle in un giudizio culturale.
Kawthar: Ho avuto due rapporti familiari nella mia vita, con la mia famiglia libanese e con la famiglia italiana. In Libano, quando ero là, eravamo sette fratelli ma io ero certamente la privilegiata. I genitori mi privilegiavano certo perché avevo problemi di salute e tuttavia io ne approfittavo ed ero molto capricciosa. I rapporti comunque fra noi fratelli e i genitori erano buonissimi, ispirati a fiducia e libertà, ma anche nei miei confronti ad un affetto particolarmente dolce, sempre attenti a me sempre larghi di consigli. Quando sono venuta presso la famiglia italiana le cose sono un po’ cambiate. Qui la vita è stata molto più regolata, sono stata educata a una maggiore responsabilità nell’uso del tempo che peraltro era consona al mio avanzare negli anni, ho imparato tante cose e sto per laurearmi con la laurea magistrale in Mediazione linguistica e culturale. Dio come Padre di tutti ha voluto che io avessi due esperienze, queste due esperienze di vita e non mi è mai mancato qualcuno vicino che mi sostenesse e mi trasmettesse la sua esperienza della vita.
Carolina: Il mio rapporto con i miei genitori è stato sempre molto libero. Sì forse qualche problema, ma tra mille virgolette, piccoli problemi. In questi piccoli contrasti, proprio per i valori che mi sono stati insegnati da loro, io m’accorgo di sbagliare.
Caterina: L’impressione che io ho del comportamento dei miei genitori è che mi guidino senza però mettersi al mio posto. E’ una cosa importante e non scontata, non si sostituiscono a me, mi lasciano la mia libertà. Adesso vivo un ambiente scolastico che è molto diverso come impostazione, come pensiero, come mainstream da quello della mia famiglia eppure io non soffro, non patisco il contrasto, ho gli strumenti per reagire. Di fronte ad un pensiero ad una cultura diversa, magari polemica nei miei confronti, cerco di sfangarmela da sola e in certi casi chiedo aiuto ai miei.
Beatrice: Sono d’accordo con Anna e Caterina. Quello dei genitori è un consiglio che indica la strada; non sempre noi tendiamo a seguire ma, anche quando non seguiamo, non è un motivo di scontro. E’ giusto che noi facciamo la nostra strada, che facciamo le nostre esperienze e che traiamo le nostre conclusioni. Non sarebbe giusto se i genitori si sostituissero ai figli nelle scelte e nei giudizi e in effetti i nostri genitori non si sono mai sostituiti in questo.
Nonno/Daddy Paolo: Prima di tutto, secondo le nostre abitudini, risaliamo nella storia, facciamo un po’ di ripasso storico, non dico sino ad Adamo ed Eva ma sicuramente molto indietro nel tempo.
Per moltissimi anni, gli anni dell’uomo primitivo e poi anche molti anni dell’antichità la figliolanza è essenzialmente un fatto naturale, fisico, corporeo e generazionale, tanto che è forte il legame con la madre e meno quello con il padre. Non c’è il concetto di famiglia come lo intendiamo noi, con i gradi di parentela e di affinità e i ruoli precisi che conosciamo. Gli uomini fanno i lavori di fatica e fanno la guerra e in generale difendono le mogli, i figli e il clan, le donne partoriscono e curano i figli e la casa. Quando diventano importanti le formazioni politiche e sociali, la polis in Grecia e la civitas a Roma, si afferma l’idea che i giovani, per fare la guerra e per coltivare i campi, devono essere forti. I deboli non servono. Così nei popoli antichi troviamo tante pratiche eugenetiche cioè si scartano e si eliminano gli individui riusciti male. Vi ricordate l’usanza della città di Sparta di gettare dal monte Taigeto i bambini malformati? Buttavano giù dalla rupe i bambini handicappati appena dopo la nascita o quando si accorgevano dei loro difetti. Anche a Roma veniva praticata una selezione sia alla nascita che dopo, quando i giovani venivano addestrati nelle arti della guerra. I greci e i romani erano essenzialmente fieri della loro forza militare del loro eroismo militare. In tutta l’antichità c’è un culto del corpo perfetto e ben fatto. Il corpo dà dignità all’uomo. Se nell’antichità sono importanti la generazione fisica e la prestanza del corpo, invece sono pochi i casi di paternità adottiva o nell’affetto. E del resto non tutti gli individui umani sono considerati uguali, solo i cittadini sono uomini in senso pieno. A Roma è fondamentale il titolo di civis romanus che è attribuito dall’autorità politica. Chi non è civis è schiavo e non ha diritti. In sostanza manca il concetto di “persona” come lo intendiamo noi. Questo concetto andrà sviluppandosi nel Medio Evo per l’influenza del diffondersi del cristianesimo. Si è detto che neanche nel Medioevo gli uomini erano eguali, per esempio dal punto di vista economico, perché la trasmissione ereditaria andava prevalentemente al primogenito. Bisogna però considerare la diversa economia che vi era nel Medio Evo, nella quale l’istituto della primogenitura era importante e necessario per mantenere unito il patrimonio di campi, di armenti e di attrezzi. Anche nel mondo ebraico era importante la primogenitura. Vi ricordate che Esaù la vende a Isacco? Vi ricordate anche la genealogia di Gesù con il quale si dimostra nel Vangelo che era discendente di Davide e questo era importante per le profezie. Anche se oggi la qualità di ebreo deriva solo dalla madre.
Ma con Cristo cambia tutto. Lui dice “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? …Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre”, Cioè Cristo fa riferimento ad un’altra paternità che è quella del Padre eterno. Questa è più importante. Ma questa è la suprema paternità nell’affetto. Noi siamo figli adottivi di Dio Padre perché Lui ci ha adottati nell’affetto (mandandoci suo figlio). Così dice San Paolo nella lettera ai Romani. Ricordate anche la vicenda del Figliol prodigo. Questi chiede a suo padre di anticipargli la sua parte di eredità e se ne va. Spende tutto in bagordi. E’ un lavativo. Quando torna lui chiede perdono e dice: “non sono più degno di essere figlio, tienimi come servo” ma il Padre lo riabilita a figlio, fa una grande festa come non aveva fatto mai. E’ la paternità nell’amore e nell’affetto e nel perdono. Guardate questo meraviglioso quadro di Rembrandt, guardate il volto del Padre, guardate il gesto, il rifugiarsi del figlio nel grembo del padre
[Viene mostrata una illustrazione del quadro di Rembrandt “Ritorno del figliol prodigo”, 1666, San Pietroburgo, Hermitage Museum]
Gesù è il figlio di Dio padre. Ma come poteva un ebreo del suo tempo capire questo? che ci potesse essere un “Figlio di Dio”, e che lo si potesse incontrare sulla terra? Noi sappiamo dal catechismo che Gesù è vero Dio e vero uomo. Nessun uomo nella storia si è detto Dio e Gesù capisce la difficoltà dei suoi fratelli ebrei. Così non rivela subito la sua identità neppure ai suoi discepoli. Prepara loro e prepara il popolo a capire chi è Lui. Per dimostrare la sua credibilità fa continuamente miracoli e miracoli straordinari, risuscita anche i morti e perdona i peccati cosa che secondo la legge ebraica poteva fare solo Dio. Tutti continuano a chiedersi: ma chi è costui? Strano! perché tutti conoscono chi è, i suoi genitori la sua storia eppure si chiedono chi è? Pensano che sia un Messia, un capopopolo che li libererà dai Romani e lo vogliono fare Re. Ha dalla sua parte le folle che lo seguono.
[Viene mostrato il video della scena del Balletto dei discepoli e dei giudei del film “Jesus Christ Superstar” di Norman Jewison 1973 ora in DVD]
Non hanno capito niente. Pilato gli chiede ma “tu sei Re?”. Lui dice “Si sono re ma il mio regno non è di questo mondo”. Lo processano e alla fine lo condannano a morte proprio per il fatto che si è detto Dio. Lo ammazzano ma Lui risorge e questa è la suprema dimostrazione della sua straordinarietà, della sua natura divina. Ma per noi del XXI secolo la dimostrazione è la sua permanenza nel mondo, cioè la permanenza del suo Spirito, dello Spirito santo che noi possiamo ricevere attraverso la Chiesa e questa permanenza dello Spirito resiste immutata e straordinaria da più di duemila anni e continua a dare dimostrazioni di sé e della sua identità.
Faccio altri due esempi dell’importanza di un padre nell’affetto e nel perdono. Mastro Geppetto nel libro Pinocchio di Collodi, un libro capolavoro che non è certo solo per i piccoli ma anche per i grandi. Pinocchio è una creazione di Geppetto falegname, lo ha inventato e fatto lui, lui è suo padre, e Pinocchio si anima, diventa vivo come un bambino, va nel Paese dei Balocchi per suggerimento del Gatto e della Volpe e lì si perde, perde l’idea e la distinzione del bene e del male. Geppetto va a cercarlo di notte nel bosco con una lanterna. Dopo tante avventure Geppetto ritrova Pinocchio nel ventre della balena e lo salva con il suo affetto. Poi però, sputati dal pesce e tornati a terra. Geppetto sta male e Pinocchio lo cura. A quel punto la Fatina di Pinocchio si commuove e lo trasforma in un bambino vero.
Un’altra bellissima lettura che vi consiglio e che forse Anna e Caterina hanno già fatto è quella del libro “La pelle dell’orso” di Matteo Righetto. E’ la vicenda di un padre vedovo, disoccupato e solo che cerca un riscatto e sentendo che, in quel tempo, nella loro zona, ai piedi delle Dolomiti, si aggira un’orso, terribile, feroce e selvaggio che nessuno era riuscito ad abbattere, scommette con tutti i compagni dell’osteria che lui riuscirà a portare a casa la pelle dell’orso. Allora parte alla caccia dell’orso con il suo figlio di dodici anni, intelligente e che ama tantissimo i boschi e le montagne. Quel padre non aveva mai avuto molte attenzioni per quel figlio. Ma il figlio di fronte alla proposta del padre si esalta, sente rinascere il suo rapporto con il padre e nei giorni della caccia all’orso questo rapporto cresce. Sentite questo dialogo tra di loro in cui quel ragazzo sente tutto il fascino e la forza di avere un padre
[Lettura dal libro “La pelle dell’orso” di Matteo Righetto, Edizioni TEA, Milano 2013, pagg. 71-73].
Dunque ecco la grande importanza del rapporto con un Padre e anche con una Madre, di un rapporto nell’affetto e di una adozione nell’affetto da parte di un padre e di una madre. L’adozione nell’affetto è vera paternità e vera figliolanza.
Ecco perché a questo è simile ma molto più grande il rapporto di adozione nell’affetto di noi, di voi ragazzi, con il nostro e vostro Padre eterno che ci custodisce sempre ma che nello stesso tempo è forte e severo.