XVII LEGISLATURA
Disegno di legge
D’iniziativa dei senatori
Fedeli, Marcucci, Puglisi, Lanzillotta, Bonfrisco, De Petris, Bisinella, De Pietro, Battista, Bocchino, Albano, Amati, Borioli, Cantini , Cuomo, D’Adda , Di Giorgi, Fabbri, Fasiolo, Ferrara, Favero, Giacobbe, Idem, Lai, Lo Giudice, Manassero, Mattesini, Maturani, Orru’, Parente, Pezzopane, Puppato, Ricchiuti, Russo, Ruta, Scalia, Spilabotte, Vaccari, Aldinosi, Zanoni
Introduzione dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università
18 novembre 2014
Relazione – Onorevoli Senatrici e Senatori! – La cronaca quotidiana dei rapporti conflittuali, e finanche violenti, che spesso connotano le relazioni di genere, anche tra i più giovani, impone di riconsiderare i percorsi formativi offerti dalla scuola, nell’ottica di promuovere il superamento degli stereotipi di genere, educando le nuove generazioni, lungo tutte le fasi del loro apprendimento scolastico, al rispetto della differenza di genere. Tra gli obiettivi nazionali dell’insegnamento nella scuola italiana è divenuto, pertanto, indifferibile porre espressamente, come elemento portante e costante, sia la promozione del rispetto delle identità di genere sia il superamento di stereotipi sessisti. Il che risponde altresì all’esigenza di dare puntuale attuazione ai principi costituzionali di pari dignità e non discriminazione di cui agli articoli 3, 4, 29, 37 e 51 della Costituzione.
Questo è anche il senso delle politiche europee in materia: quasi tutti i paesi europei hanno infatti predisposto in campo educativo e scolastico strumenti di sensibilizzazione e di lotta contro gli stereotipi. In particolare, già con il Quarto Programma d’azione (1996-2000) la politica europea delle pari opportunità si era integrata in tutti i settori e nelle azioni dell’Unione e degli Stati membri, ivi compresa l’azione educativa che si svolge nella scuola, pur nel rispetto delle peculiarità e tradizioni dei singoli Stati membri. Di conseguenza, l’Unione europea, con l’obiettivo strategico B4, «Formazione a una cultura della differenza di genere», ha stabilito la necessità «di recepire, nell’ambito delle proposte di riforma della scuola, dell’università, della didattica, i saperi innovativi delle donne, nel promuovere l’approfondimento culturale e l’educazione al rispetto della differenza di genere». In tale prospettiva si collocano anche azioni europee e nazionali relative al settore educativo che devono procedere in due direzioni specifiche: la prima, fissare tra gli obiettivi nazionali dell’insegnamento e delle linee generali dei curricoli scolastici la cultura della parità di genere e il superamento degli stereotipi; la seconda, l’intervento sui libri di testo, riconosciuti in tutte le sedi internazionali, come un’area particolarmente sensibile per le politiche delle pari opportunità.
Le stesse problematiche sono state di recente affrontate anche dalla risoluzione
2012/2116 (INI) del Parlamento europeo, del 12 marzo 2013, sull’eliminazione degli stereotipi di genere nell’Unione europea. Nella parte riguardante la formazione è stata anzitutto affermata la rilevanza dei programmi scolastici nel perpetuare discriminazioni di genere – e, di conseguenza, nel condizionare l’effettiva libertà delle future scelte dei discenti, fattisi cittadini adulti, e l’accesso ai diritti loro spettanti – laddove non correttamente orientati al superamento di stereotipi sessisti. La risoluzione, sulla base di indirizzi pedagogici largamente condivisi, ha affermato che la nozione di uguaglianza può essere instillata nei bambini sin dalla più tenera età e che un’educazione basata sul riconoscimento della parità è la strada da percorrere per il superamento degli stereotipi di genere. Agli Stati membri è stato perciò richiesto di valutare programmi di studi e contenuto dei libri di testo nell’ottica di una riforma complessiva che conduca all’integrazione delle questioni di genere, quale tematica trasversale, in tutti i materiali didattici, sia in termini di eliminazione degli stereotipi di genere, sia in termini di maggiore visibilità del contributo e del ruolo delle donne nella storia, nella letteratura o nell’arte, anche nei primi livelli dell’istruzione. Gli Stati membri sono stati altresì sollecitati a predisporre specifici corsi di orientamento, nelle scuole primarie e secondarie e negli istituti di istruzione superiore, finalizzati a informare i giovani in merito alle conseguenze negative degli stereotipi di genere, nonché a incoraggiarli a intraprendere percorsi di studi e professionali superando visioni tradizionali che tendano a individuarli come tipicamente «maschili» o «femminili».
Questi gli obiettivi che ci si propone di raggiungere con il presente disegno di legge, altresì in ossequio alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata a Istanbul l’11 maggio 2011, ratificata dall’Italia con legge 27 giugno 2013, n. 77, ed entrata in vigore lo scorso 1° agosto 2014. La piena attuazione della cosiddetta Convenzione di Istanbul, infatti, implica necessariamente l’adozione di conseguenti interventi di integrazione e modificazione della legislazione e della regolamentazione nazionale che consentano la realizzazione degli obiettivi e delle misure da essa recati. Tra questi un ruolo fondamentale potranno svolgerlo progetti di formazione culturale che accompagnino i percorsi scolastici dei ragazzi, a partire dal primo ciclo di istruzione, fornendo adeguati strumenti di comprensione e di decostruzione critica dei modelli dominanti tuttora alla base delle relazioni tra i sessi.
A riguardo, il capitolo III della citata Convenzione si esprime sufficientemente nel merito delle politiche di prevenzione da adottare: l’articolo 12, paragrafo 1, obbliga le parti ad adottare «le misure necessarie per promuovere i cambiamenti di comportamenti socio-culturali delle donne e degli uomini al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e pratiche basati sull’idea dell’inferiorità della donna»; il paragrafo 4 richiede alle parti di adottare «le misure necessarie per incoraggiare tutti i membri della società, e in particolar modo gli uomini e i ragazzi, a contribuire attivamente alla prevenzione di ogni forma di violenza che rientra nel campo di applicazione della presente Convenzione»; al paragrafo 5 si legge poi che «le Parti vigilano affinché la cultura, gli usi e i costumi, la religione, la tradizione o il cosiddetto “onore” non possano essere in alcun modo utilizzati per giustificare nessuno degli atti di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione», mentre al paragrafo 6 si prevede che le parti adottino «le misure necessarie per promuovere programmi e attività destinati ad aumentare il livello di autonomia e di emancipazione delle donne».
Ancora rilevanti indicazioni si possono trarre agli articoli 13 e 14 della Convenzione di Istanbul: mentre al paragrafo 2 dell’articolo 13, rubricato «Sensibilizzazione», si dispone che «Le Parti garantiscono un’ampia diffusione presso il vasto pubblico delle informazioni riguardanti le misure disponibili per prevenire gli atti di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione», l’articolo 14, rubricato «Educazione», definisce sul piano dell’istruzione le attività dei Governi rispetto agli atti di violenza che rientrano nel campo della Convenzione, obbligando le parti sottoscrittrici del Trattato ad un ripensamento complessivo di saperi e di modalità di relazione all’interno dei sistemi scolastici nazionali, al fine di combattere ogni forma di violenza basata sui modelli socio-culturali di donne e uomini per sradicare i pregiudizi, i costumi, le tradizioni e le altre pratiche basate sull’idea dell’inferiorità della donna o su ruoli stereotipati per donne e uomini, in particolare introducendo «nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all’integrità personale, appropriati al livello cognitivo degli allievi».
È allora evidente l’importanza dell’introduzione di una consapevole prospettiva di genere nei processi educativi: ciò importa primariamente la decostruzione critica delle forme irrigidite e stereotipate attraverso cui le identità di genere sono culturalmente e socialmente plasmate, stimolando al contempo l’auto-apprendimento della e nella complessità. Il processo riformatore che ha investito il nostro sistema di istruzione ha infatti sì cercato di rispondere alle istanze di una società pluralista, multietnica e sempre più diversificata al suo interno, ponendo al centro della sua azione lo sviluppo della «persona» come un’identità consapevole e aperta all’interno dei princìpi della Costituzione e della tradizione culturale europea, eppure non pare ancora aver realizzato una scuola intesa come luogo in cui «nella diversità e nelle differenze si condivide l’unico obiettivo che è la crescita della persona». Pur nel rinnovato contesto scolastico in cui al centro è posta la “persona” quindi, le differenze di genere risultano, sul fronte normativo, come diluite, essendo assimilate alle altre differenze. Si pensi al decreto- legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, e recante Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca, che all’articolo 16, rubricato Formazione del personale scolastico, “Al fine di migliorare il rendimento della didattica, con particolare riferimento alle zone in cui è maggiore il rischio socio-educativo, e potenziare le capacità organizzative del personale scolastico”, al comma 1, lettera d), autorizza per l’anno 2014 la spesa di euro 10 milioni, oltre alle risorse previste nell’ambito di finanziamenti di programmi europei e internazionali, “per attività di formazione e aggiornamento obbligatori del personale scolastico”, con particolare riguardo “all’aumento delle competenze relative all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità di genere e al superamento degli stereotipi di genere”, peraltro in attuazione di quanto previsto dall’articolo 5 del decreto- legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, cosiddetto decreto-legge sul femminicidio.
Similmente non si può prescindere da un corretto linguaggio anche a livello legislativo e amministrativo quanto a sensibilità rispetto alle differenze di genere: non si tratta infatti di un mero artificio in quanto una riflessione sull’uso del linguaggio nella stesura degli atti normativi e amministrativi è indifferibile affinché si affermino modelli educativi e di comportamento in grado di mettere in comunicazione e in rapporto tra loro tutte le differenze, e in primis quella tra uomini e donne. In tal senso inappropriata appare la nota che si legge nell’introduzione alle Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione, pubblicate dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel settembre 2012, dove si legge: «Nel testo si troveranno sempre termini quali: bambini, adolescenti, alunni, allievi, studenti […] Si sollecita il lettore a considerare tale scelta semplicemente una semplificazione di scrittura, mentre nell’azione educativa bisogna considerare la persona nelle sue peculiarità e specificità, anche di genere».
Diversamente, il riconoscimento del linguaggio come strumento di azione politica all’interno del processo ormai da tempo avviato per la realizzazione della «parità di fatto, cioè a dire l’uguaglianza delle possibilità di ciascun individuo di entrambi i sessi di realizzarsi appieno in ogni campo», è stato testimoniato dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 27 marzo 1997 (Gazzetta Ufficiale 21.5.1997, n. 116), recante Azioni volte a promuovere l’attribuzione di poteri e responsabilità alle donne, a riconoscere e garantire libertà di scelte e qualità sociale a donne e uomini, che ha posto tra gli obiettivi prioritari volti a promuovere la parità di opportunità tra uomini e donne «la formazione a una cultura della differenza di genere». Lo stesso documento ha altresì individuato, tra le azioni immediate dell’obiettivo, l’aggiornamento dei materiali didattici, oggetto dell’apposito progetto Pari opportunità nei libri di testo (POLITE), promosso dal Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri tra il 1999 e il 2001, nell’ambito del Quarto programma di azione a medio termine per la parità di opportunità tra le donne e gli uomini (1996-2000), volto a garantire che i nuovi libri di testo e i materiali didattici fossero realizzati in modo da favorire lo sviluppo dell’identità di genere e da rimuovere gli stereotipi presenti in tali strumenti di formazione.
Nei provvedimenti normativi di ambito scolastico adottati negli anni successivi, tuttavia, neppure questo iniziale progetto di rivisitazione del materiale didattico e formativo è stato effettivamente raccolto e regolato, anche a causa dei processi di riforma intervenuti nella scuola, spesso contraddittori, che hanno sottratto spazio nel dibattito pubblico alle questioni di genere. Si è così verificato un processo di dispersione delle buone prassi, invece che la loro ottimizzazione, con il conseguente ritorno ad attività e strumenti didattici che si auspicava fossero ormai superati. Eppure molte sono state le sperimentazioni attuate, nel quadro dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, per il superamento di stereotipi sessisti e l’avvio di buone pratiche educative di genere, i cui risultati sarebbe auspicabile venissero tra loro collegati e organizzati in un’apposita rete destinata allo scambio e alla condivisione dei percorsi seguiti e dei risultati conseguiti. In questo contesto, ad esempio, si colloca anche l’impegno dell’Associazione italiana editori (AIE) a darsi un codice di autoregolamentazione volto a garantire che, nella progettazione e nella realizzazione dei libri di testo e dei materiali didattici, vi sia attenzione allo sviluppo dell’identità di genere e alla rimozione degli stereotipi, come fattore decisivo nell’ambito dell’educazione complessiva dei soggetti in formazione.
Come detto, però, il codice POLITE, non è mai stato recepito come norma specifica da valere erga omnes e tutt’ora è stata vanifica la pur lodevole e necessaria iniziativa. È necessario, al contrario, che ogni ciclo scolastico e ciascuna disciplina siano consapevolmente orientati all’apprendimento di una cultura di relazioni tra individui liberi, consapevoli dei ruoli di ciascuno nel rispetto delle differenze, anche di genere, condizione questa certamente pregiudiziale sia a una cultura della non violenza, sia al superamento della prevaricazione, intesa come modalità di affermazione di singoli e di gruppi sociali. La società civile stessa interroga su questo il legislatore: non a caso, di recente, attraverso una petizione pubblica alla quale hanno aderito più di dodicimila persone, è stata chiesta l’adozione di provvedimenti da introdursi in ambito scolastico volti a perseguire la cultura del rispetto e della consapevolezza delle identità di genere – analogamente a quanto avviene in quasi tutti i paesi membri dell’Unione europea – e, in particolare, l’adozione del codice POLITE, con l’introduzione di azioni specifiche da attuarsi in campo scolastico-educativo attraverso metodologie e contenuti volti alla diffusione di una cultura rispettosa delle identità di genere e alla rimozione degli stereotipi sessisti.
Oggi, anche a fronte degli innumerevoli casi di femmicidi e femminicidi che continuano a registrarsi in tutto il Paese, per contrastare tali fenomeni appare prioritario accompagnare le misure di contrasto sul piano penale, pure recentemente introdotte e riviste ad opera del citato decreto-legge n. 93/2013, con disposizioni volte specificatamente a prevenire discriminazioni e sessismi prima che essi degenerino in meccanismi patologici di violenze nei confronti delle donne. Tale azione, per la sua specifica valenza, è da svolgersi in campo educativo attraverso interventi non estemporanei o generici, ma da programmare all’interno del sistema scolastico, sulla scia di quanto avviene già a livello europeo. Il presente disegno di legge intende quindi introdurre disposizioni volte a dare seguito concreto alla Risoluzione 2012/2116 (INI) del Parlamento europeo, del 12 marzo 2013, sull’eliminazione degli stereotipi di genere nell’Unione europea, nonché alla realizzazione del cosiddetto obiettivo strategico B4 dell’Unione europea, in particolare fissando tra gli obiettivi nazionali dell’insegnamento e delle linee generali dei curricoli scolastici la cultura della parità di genere e il superamento degli stereotipi da un alto, e intervenendo sui libri di testo, riconosciuti in tutte le sedi internazionali, come un’area particolarmente sensibile per le politiche delle pari opportunità dall’altro.
Disegno di legge
Art. 1.
(Introduzione dell’insegnamento dell’educazione di genere)
- Il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro o il delegato alle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, d’intesa con le Regioni e con le Province autonome di Trento e Bolzano, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, adotta i provvedimenti necessari a integrare l’offerta formativa dei curricoli scolastici di ogni ordine e grado con l’insegnamento a carattere interdisciplinare dell’educazione di genere finalizzato alla crescita educativa, culturale ed emotiva, per la realizzazione dei princìpi di eguaglianza, pari opportunità e piena cittadinanza nella realtà sociale contemporanea.
- In attuazione di quanto disposto dal comma 1, i piani dell’offerta formativa delle scuole di ogni ordine e grado adottano misure educative volte alla promozione di cambiamenti nei modelli comportamentali al fine di eliminare stereotipi, pregiudizi, costumi, tradizioni e altre pratiche socio-culturali fondati sulla differenziazione delle persone in base al sesso di appartenenza e sopprimere gli ostacoli che limitano di fatto la complementarità tra i sessi nella società.
Art. 2.
(Linee guida dell’insegnamento dell’educazione di genere)
- Il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro o il delegato alle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, d’intesa con le Regioni e con le Province autonome di Trento e Bolzano, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, definisce linee guida dell’insegnamento dell’educazione di genere che forniscano indicazioni per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado, tenuto conto del livello cognitivo degli alunni, i temi dell’uguaglianza, delle pari opportunità, della piena cittadinanza delle persone, delle differenze di genere, dei ruoli non stereotipati, della soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, della violenza contro le donne basata sul genere e del diritto all’integrità personale.
Art. 3.
(Formazione e aggiornamento del personale docente e scolastico)
- Al fine di garantire l’acquisizione delle conoscenze e delle competenze per la realizzazione delle finalità di cui agli articoli 1 e 2 e l’integrazione dell’educazione di genere nei processi di insegnamento e apprendimento, il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado attivano corsi di formazione obbligatoria o integrano i programmi di quelli esistenti, per il personale docente e scolastico.
Art. 4.
(Università)
- Le università provvedono a inserire nella propria offerta formativa corsi di studi di genere o a potenziare i corsi di studi di genere già esistenti, anche al fine di formare le competenze per l’insegnamento dell’educazione di genere di cui all’articolo 1.
Art. 5.
(Libri di testo e materiali didattici)
- A decorrere dall’anno scolastico 2015/2016, le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado adottano libri di testo e materiali didattici corredati dalla autodichiarazione delle case editrici che attestino il rispetto delle indicazioni contenute nel codice di autoregolamentazione «Pari opportunità nei libri di testo» (POLITE), realizzato da Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari opportunità, Associazione Italiana Editori, Centro Innovazione Sperimentale Educativa Milano, Poliedra, Federación de Gremios de Editores de España e Commissão para a Igualdade e para os direitos das mulheres del Portogallo e approvato dal Consiglio del Settore Editoriale Educativo dell’Associazione Italiana Editori l’11 maggio 1999.
Art. 6.
(Copertura finanziaria)
- Agli oneri derivanti dall’attuazione della presente legge, valutati in 200 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015, si provvede mediante corrispondente riduzione complessiva dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale, di cui all’allegato C-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, con l’esclusione delle disposizioni a tutela dei redditi di lavoro dipendente e autonomo, dei redditi da pensione, della famiglia, della salute, delle persone economicamente o socialmente svantaggiate, del patrimonio artistico e culturale, della ricerca e dell’ambiente. Con uno o più regolamenti adottati con decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono stabilite le modalità tecniche per l’attuazione del presente comma con riferimento ai singoli regimi interessati.