Bravissima la relatrice del nostro incontro pubblico su Bullismo e Cyberbullismo, tenutosi al Rosetum di Milano.
La Professoressa Simona Caravita ci ha esposto con chiarezza e abbondanza di dati la situazione di un fenomeno, vera piaga sociale, che, principalmente nelle scuole, sta assumendo di giorno in giorno una sempre più grave consistenza.
Oggi più di un terzo dei giovani ne ha avuto esperienza, con solo leggere differenze tra un ordine scolastico e l’altro e tale percentuale è in rapido, preoccupante aumento.
La sua pericolosa pervasività trova un’ulteriore spinta dai nuovi mezzi attraverso i quali il bullismo si manifesta con conseguenze che segnano nel profondo le persone coinvolte, con effetti che si prolungano nel tempo della loro vita, sia esse siano le vittime sia esse ne siano gli artefici. E i relativi costi sociali sono elevatissimi.
Per prevenirlo, contrastarlo e curarne le conseguenze è indispensabile una elevata attenzione di genitori, nonni e docenti che solo se uniti possono ottenere positivi risultati.
In particolare i nonni grazie al particolare rapporto che hanno con i loro nipoti che supera i molti casi le riserve che specie gli adolescenti hanno nei confronti dei loro genitori, possono costituire una indispensabile antenna e aiutare a far emergere situazioni di disagio.
Nel corso della settimana prossima provvederemo a “pubblicare” l’intero incontro su Youtube e sin d’ora vi invitiamo a vederlo e a farlo vedere ad altri nonni, genitori e docenti.
E’ un regalo dei NONNI 2.0 a tutti i loro amici in difesa del destino di tutti i nipoti.
D.ssa Simona Caravita, Professore Associato di Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione – Università Cattolica
Il bullismo è un fenomeno diffuso a livello mondiale. è molto importante conoscerlo per fronteggiarlo. Anche voi nonni potete avere dei nipoti che, senza essere protagonisti o vittime hanno però visto e/o partecipato, magari senza volere, a fenomeni di bullismo. Per la prevenzione + dunque importante riconoscere i segni con i quali il bullismo si manifesta. Esso non coinvolge solo quei ragazzi per così dire prepotenti che sono i protagonisti e neppure soltanto quelli che sono vittime, è un fenomeno di gruppo che coinvolge anche tutti i coetanei vicini ai protagonisti, dal gruppo classe ad altri contesti educativi. Da questa testimonianza in video di una madre che in Italia ha avuto il figlio vittima di un fenomeno di bullismo emergono molti elementi: il primo è quanto il fenomeno possa sfuggire alla percezione degli adulti. Nel caso del filmato, che risale a qualche anno fa, la vittima, un ragazzo di quattordici anni, ha perso la vita. In tempi recenti stanno diventando più frequenti le testimonianze di suicidio da parte delle vittime, si tratta anche di vittime di cyberbullismo cioè di bullismo agito attraverso mezzi elettronici.
La testimonianza in video ci mostra anche la presenza di altri ragazzi che assistevano all’episodio, in un primo tempo c’è stato anche un intervento da parte di uno di loro in difesa della vittima. I motivi del fatto che la violenza è sfuggita agli adulti, presente in questa testimonianza, è che il bullismo assume spesso connotati non evidenti, non facilmente riconoscibili come prevaricazione, altro motivo è che non ne parla nessuno, non ne parlano gli autori della prepotenza, e non ne parlano i ragazzi che assistono, il che significa che ci sono meccanismi sottili di autogiustificazione che impediscono di comprendere la sofferenza provocata dagli atti di bullismo sulla vittima. Non ne parla naturalmente neanche la vittima, anche se nella testimonianza in video, quando il ragazzo dice alla madre che può leggere il suo diario, si intuisce il tentativo di mandare una richiesta di aiuto. Spesso le vittime non parlano perché cominciano a pensare di essere loro la causa, non sanno come rispondere, non sanno come fronteggiare il fatto e, a furia di sentirsi umiliate, si convincono di essere davvero la persona sbagliata che in qualche misura attira questo tipo di eventi e quindi si sentono in difficoltà e provano una vergogna che li spinge a chiudersi. Inoltre non sempre hanno fiducia nella capacità degli adulti di fronteggiare il problema: temono che, se ne parlano coi nonni o con i genitori, le azioni che essi potranno intraprendere (con la scuola, con gli insegnanti) non potranno che peggiorare la situazione. Si entra quindi in una spirale da cui è difficile uscire.
Dunque il fenomeno è complesso ed è molto presente nella realtà delle scuole italiane, Come riportato nella prima slide, qualche mese fa un dirigente scolastico di Parma ha pubblicato sul sito della scuola le offese che un ragazzo riceveva da parte dei compagni avendo la sola “colpa” di essere un po’ grassottello. In questo caso la dinamica della presa in giro è stata gestita con le tecnologie in Social Network. Il Preside, esasperato perché nell’arco di pochi mesi erano accaduti episodi simili, ha sentito la necessità di rendere più consapevoli le persone attorno alla scuola. Tra le tante ricerche di questi anni cito qualche dato recente che ritrovate nella slide 2: su 1500 ragazzi dagli 11 ai 19 anni il 34,7% ha detto di aver assistito a episodi di bullismo, il 30,3% tra quelli delle medie e il 38,3% tra quelli delle superiori sono stati prevaricati almeno una volta.
Stiamo parlando di un ragazzo su tre! Un’altra ricerca afferma che tra i bambini di 11 anni si è registrato un aumento del bullismo, cioè negli ultimi anni sia tra i ragazzi che tra le ragazze il fenomeno si è quasi raddoppiato. Questi dati ci dicono la pervasività. Ma altri elementi che lo rendono drammatico sono il forte impatto sociale, anche in termini di costo per la salute delle vittime, per il loro benessere e per la messa in crisi della possibilità di adattamento sociale di chi prevarica e anche di chi assiste alle provocazioni
Conseguenze
Come riportato nella slide 3, chi viene provocato sviluppa una bassa autostima, secondo importanti studi. Ne conseguono esiti sul piano psicologico: la vittima sviluppa sintomi psicosomatici depressivi, sintomi di stress post-traumatico. Questi sintomi restano anche a lungo termine, anche da adulti. Ci sono poi costi anche per chi prevarica, anche per lui c’è il rischio di disadattamento (slide 4): le ricerche ci dicono che costoro hanno maggiori probabilità di sviluppare atteggiamenti violenti e di pensare che la violenza sia strumento adeguato per raggiungere i propri obiettivi, da adulti dunque hanno la possibilità di essere coinvolti in attività criminali, in quanto entrano in un percorso a rischio. Infatti i meccanismi psicologici che spiegano le condotte devianti c’entrano con gli stessi modi di pensare del bullismo e si replicano nella attività delinquenziali. Un esempio banale: il bambino che dice “dammi la merenda se no ti picchio” potrà essere il criminale che domani dice al negoziante: “dammi i soldi sennò ti uccido”. C’è infine anche un costo sociale per chi assiste senza intervenire cioè i compagni di classe che sono a conoscenza di quello che accade vedremo: gli studi hanno dimostrato che nel 75% dei casi di bullismo ci sono presenti ragazzi che assistono, e questo causa loro un forte stress: in una ricerca abbiamo dimostrato che aumentano gli indici fisiologici che indicano lo stress in questi spettatori, ora lo stress è pericoloso per la loro salute; in più questi ragazzi sviluppano una desensibilizzazione alle prevaricazioni, cioè si abituano a pensare che le prevaricazioni sono qualcosa di normale, che la violenza è una componente ineludibile dell’azione sociale e quindi poi da adulti diventano meno sensibili alle violenze cui capita loro di assistere.
Dunque non intervengono come cittadinanza attiva, non crescono come cittadini responsabili. Tutto questo provoca costi per la società e quindi per tutti noi: stiamo crescendo delle generazioni più a rischio di star male, di essere delle persone infelici.
Allora bisogna capire bene che cosa sia il bullismo, perché non tutte le azioni aggressive sono bullismo (slide 5 e 6). Cos’è allora il bullismo? In queste slide trovate delle definizioni, La prima che vedete è la definizione di uno dei più noti studiosi del bullismo nei paesi scandinavi, si tratta di uno studioso norvegese. Parliamo di bullismo quando uno studente è vittimizzato perché esposto ripetutamente ad azioni negative messe in atto da uno più compagni. Per azione negativa non si intende solo la prepotenza fisica, perché il bullismo agisce spesso in modo sottile, per esempio attraverso l’isolamento sociale, oppure attraverso la diffusione di voci a danno della vittima, con la possibilità di rovinare l’immagine sociale come accade nel cyberbullismo (slide 7). Si tratta di azioni intenzionalmente messe in atto per provocare un danno, un dolore a chi subisce la situazione; dunque il bullismo è un tipo di aggressività che è più fredda, non legata ad un emozione elevata, è un atto pianificato, pensiamo per esempio al progetto di creare un gruppo Facebook ai danni di una vittima. Se due ragazzi si affrontano in una lite, il problema è educativo ma non possiamo parlare di bullismo Cioè non è una semplice reazione ad una provocazione, per esempio ad uno spintone. Per il bullismo ci vuole la sproporzione di poteri; un esempio famoso è quello di un ragazzo portatore della sindrome di Down nel 2007: è stata filmata la violenza nei suoi confronti e tra l’altro il film è rimasta su internet per molti anni. In questo atto vediamo anche una pianificazione, che è una caratteristica tipica del bullismo. Ci deve essere una intenzionalità dell’attacco, un voler provocare un dolore all’altro e una ripetizione nel tempo. Per questo è chiaro che è meglio non aspettare che l’azione si ripeta tre o quattro volte: già la prima prepotenza deve suscitare un’attenzione nell’adulto, già il secondo episodio deve portare ad un’azione di intervento. Bisogna stare attenti ai segnali indiretti, nel caso del video la mamma aveva notato qualche segno, ad es. il ragazzo si isolava in camera sua. La vittima è fatta oggetto di prepotenza spesso senza alcun motivo e quando i ragazzi dicono “è stato lui che l’ha voluto” utilizzano una sorta di disimpegno morale per giustificarsi. Tra chi prevarica e chi subisce c’è uno squilibrio di potere, per chiarire voglio usare una espressione forte: il prepotente agisce vigliaccamente e sceglie come vittima chi è più debole di lui, per es. un ragazzo che segnala una debolezza perché è timido, perché è meno capace di stare nel gruppo, questo lo pone nel rischio di essere individuato come una potenziale vittima. Il prepotente invece ha un gruppo di amici che lo sostiene e spesso ha il vantaggio di ottenere un supporto passivo da parte dei compagni e quindi sceglie chi non si sa difendere. Dunque il bullismo indica sempre una patologia delle relazioni perché si deteriora il rapporto tra vittima e persecutore ma anche il rapporto tra compagni. Non dobbiamo ignorare questa dimensione relazionale forte che sta dietro al fenomeno (slide 8 e 9).
Precisiamo le forme diverse che assume il bullismo (slide 7): è una violenza fisica esplicita come è successo a Francesco, il ragazzo del video. A volte invece è di tipo verbale: offese, minacce. Attualmente stanno scomparendo le differenze di genere, cioè anche le ragazze sono operatrici di bullismo. C’è poi anche la forma del bullismo indiretto, perché agito attraverso la manipolazione delle reti di amicizia, pensate ad es. alla bambina che dice “non stare con quella altrimenti non vieni a giocare a casa mia”. Oppure si diffondono voci non vere nei confronti di quella tal ragazza, si dice che è una ragazza facile, così si manipolano le relazioni, si distorce l’immagine sociale della vittima. Non è facile intercettare questo tipo di violenza; anche per questo il bullismo è riuscito ad essere un fenomeno nascosto agli adulti.
Il fenomeno ci sfugge ancora di più in quanto assume la forma del cyberbullismo, cioè quell’azione di prepotenza agita con le nuove tecnologie. Ora, in merito a questa forma, c’è una legge che sta per passare alle Camere.
Questa modalità del cyberbullismo non lascia tregua alla vittima perché in questo caso il ragazzo è continuamente bersagliato, ad es. il filmato resta su Internet, in più noi adulti non conosciamo la vita sociale sul mezzo elettronico dei ragazzi e siamo anche meno abili nell’uso di questi mezzi. Il cyberbullismo attualmente colpisce molte cosiddette categorie a rischio, si parla molto del bullismo omofobico ma il discorso va ampliato: c’è il bullismo a danno di disabili, quello nei confronti di migranti e di chi appartiene a un diverso gruppo etnico.
Ci sono alcuni meccanismi psicologici che qualificano in modo specifico il bullismo, e c’è anche una compromissione, a più livelli, della moralità. E non dimentichiamo che parliamo di contesti perché lo sviluppo morale avviene all’interno di contesti di vita, che siano la famiglia piuttosto che il gruppo dei pari e la scuola. Dunque è un fenomeno di gruppo e dobbiamo affrontarlo anche come relazione tra i coetanei. Possiamo distinguere due tipologie di ragazzi che agiscono come prepotenti. I prevaricatori principali e poi i prevaricatori passivi, che si aggiungono alla prepotenza iniziata (slide 10). Le due tipologie sono molto associate. A volte questi prevaricatori principali sono più fisicamente prestanti, ma non è necessario, poi spesso sono coetanei, per esempio nella scuola elementare sono i compagni di classe che prevaricano sui coetanei. Essi hanno un comportamento aggressivo sfidante verso coetanei e adulti, hanno obiettivi di predominanza sociale: il mettere in atto la prevaricazione li porta ad avere un ruolo di leader. Se un ragazzo è così gli altri non possono non tenerne conto, e a lui interessa questo più che avere degli amici (slide 15 e 16). Ci sono frasi significative che sono state raccolte da un sociologo: molti prepotenti intervistati dicevano di sentirsi ammirati e temuti dai compagni. Questi ragazzi valutano l’uso della violenza come strumento utile ad affermarsi, ci riescono bene, si sentono, come possiamo dire, auto efficaci e, sorpresa delle sorprese, non è vero che non hanno autostima. Risulta un luogo comune dire che il prepotente ha un’autostima più bassa dei compagni, infatti l’autostima dei prevaricatori è nella media, spesso quindi non sono ragazzini che in qualche modo compensano un sentirsi inferiore, invece mostrano di sentirsi bene nella dinamica della prevaricazione e per questo continuano ad agirla. Sono invece le vittime che hanno un’autostima più bassa. Un tratto di personalità dei prevaricatori è il machiavellismo, per cui ritengono che le relazioni tra le persone siano solamente strumentali. Pensano: per me gli altri sono strumenti e anche per gli altri io sono strumento, Tutto per loro si basa sul semplice calcolo dare-avere. Utilizzano questo meccanismo di disimpegno morale che imparano dai coetanei e dagli adulti. Inoltre hanno dei processi di pensiero e di azione molto sofisticati, per esempio sono capaci di comprendere il pensiero della vittima. È dunque ormai superata la visione del prepotente come incompetente a livello sociale, il prevaricatore è infatti estremamente competente, è però incompetente a livello morale: vede le dinamiche sociali, le usa però per il male. Visto il profilo dei prepotenti, vediamo adesso quello delle vittime (slide 11). Distinguiamo due tipologie: le vittime cosiddette passive, cioè i ragazzi timidi non capaci di relazioni, quelli che godono di cosiddetta bassa preferenza sociale e quindi non risultano interessanti per i compagni. Sono coloro che hanno pochi amici, i quali spesso sono anche loro vittime. Questo crea vulnerabilità, hanno stima più bassa di sé, si sentono meno bravi, tendono a percepire che le relazioni con i compagni non hanno un controllo, che nelle relazioni con gli altri sono gli altri che dominano, loro non possono fare niente. Dunque non sanno cosa fare, questo crea un vissuto di disperazione, perché sono in difficoltà quando si tratta di interagire con gli altri. L’altra categoria sono le cosiddette vittime provocatrici, non perché siano realmente provocatrici ma perché per il loro modo di fare tendono ad essere più reattive, mettono in atto forme di reattività più calde. La loro è una vulnerabilità ancora maggiore, perché questi soggetti, che potremmo definire permalosi, piacciono ancora meno ai loro compagni, sono vittime passive maggiormente isolate e anche noi adulti pensiamo che siano loro i prepotenti. Sono quelli più disposti a sviluppare vissuti depressivi, a stare male. Vediamo adesso per il prepotente che cosa è questa incompetenza morale che dicevo. Ho detto che i prevaricatori hanno una intelligenza sociale e la usano per il male, uno studioso ha detto che l’intelligenza sociale la si può usare per il bene o per il male, se la si usa per il male è perché ci sono delle compromissioni a livello morale, è un meccanismo sottile per cui ragazzo che prevarica sa che quello che fa è sbagliato, ma impara ad autogiustificare (slide 12 e 13) quello che accade, anche se sa e crede che comportarsi male sia sbagliato. Sono ragazzi poco empatici a livello di empatia affettiva, cioè non sanno capire e sentire le emozioni dell’altro, non sanno condividere il dolore dell’altro. I prepotenti capiscono che l’altro soffre ma non sentono la sua sofferenza, per questo usano in modo errato la competenza sociale. Tra parentesi: noi tutti sin dalla nascita siamo predisposti all’empatia sociale, vedi il famoso esempio del contagio emotivo nella nursery, ma per crescere in questa competenza è necessario avere degli adulti che si prendono cura di te ti facciano sentire accolto e amato. Quando questo viene meno, viene meno la nostra capacità di condividere le emozioni dell’altro. I ragazzi bulli hanno sperimentato questa mancanza e sono meno capaci di sentire a livello di pancia e di stomaco il dolore dell’altro così possono prevaricare, perché, se io sento il dolore dell’altro e capisco che ne sono la causa, interrompo in quanto non voglio star male neppure io; dunque a livello morale c’è una distorsione della motivazione: i ragazzi sono motivati a mettere in atto le prepotenze, traggono motivo di gratificazione quando vedono la sofferenza dell’altro. Una collega studiosa ha raccolto questa frase di un ragazzino prepotente: il bullismo mi fa stare bene. Il bullismo è facile e funziona. Un’altra motivazione: ricercare l’affermazione nel gruppo. Sul disimpegno morale voglio dire che spesso siamo noi che insegniamo ai ragazzi ad autogiustificarsi. Possiamo cioè avviare un processo che è stato ben identificato da Bandura: grande psicologo, negli anni ’80, studiando grandi fenomeni sociali compreso l’Olocausto ha identificato meccanismi di pensiero che noi usiamo per andare oltre il sentimento di colpa. Nella famiglia noi impariamo dei valori, li interiorizzano. Ma se noi cominciamo a minimizzare, per esempio a dire che un furto delle patatine non è così grave come rubare un cd, mettiamo in atto nei ragazzi dei processi di pensiero che poi si ripercuotono nelle relazioni dentro il gruppo dei coetanei. Il risultato finale del disimpegno morale è che si arriva ad una disumanizzazione della vittima, la vittima vale meno di sé e le si toglie la caratteristica di essere umano.
Per quanto riguarda il disimpegno morale noi adulti abbiamo grandi responsabilità nei confronti dei nostri giovani.
Ma non dimentichiamo che il gruppo ha un ruolo importante: un collega finlandese ha identificato 6 ruoli che possono essere assunti dai ragazzi del gruppo-classe nel coinvolgimenti col bullismo (slide 14). Possiamo avere gli aiutanti del prepotente, che sono coloro che magari non partecipano alla dinamica ma manifestano una soddisfazione, danno un rinforzo al bullo, poi ci sono quelli che sono un po’ i difensori della vittima che possono essere il 20 o il 21%, spesso sono ragazze che non necessariamente si contrappongono al bullo, ma per esempio consolano la vittima. Ci sono anche gli esterni, coloro che sanno ma hanno timore di essere coinvolti, restano in silenzio, sono neutrali ma il silenzio omertoso contribuisce; questi vari ruoli riguardano l’80% dei ragazzi di una classe, quindi noi dobbiamo poter agire all’interno del gruppo perché il bullismo è potere sul gruppo. È stato dimostrato che i prepotenti hanno un ruolo molto elevato nella popolarità percepita, nel senso che possono piacere ad alcuni e ad altri no, ma sono popolari, il gruppo assegna loro un ruolo impositivo. Gli studi longitudinali condotti all’estero hanno dimostrato che quanto più si è percepiti come popolari, tanto più questo aumenta la tendenza all’aggressività per mantenere tale stato. Si entra in una spirale e allora è comprensibile l’importanza del gruppo che sostiene, perché è questo che può permettere la popolarità, la visibilità all’amico bullo che, per esempio, mette il filmato in rete, il che fa sì che il prepotente riceva poi tutti i complimenti per PC. Quindi ribadisco l’importanza degli spettatori che hanno un ruolo, contrariamente alla tendenza a pensare che il problema riguardi solo prepotente e vittima. Accenno al paradosso degli esterni; se chiediamo ai ragazzi spettatori se approvino il bullismo, loro non lo approvano, ma di fatto, come si è detto, non intervengono in aiuto della vittima. In questo gioca la paura ma anche il disimpegno morale, quindi giocano quei meccanismi che ho illustrato: se la prendono con lui vuol dire che è colpa sua. Nel gruppo si diffondono così regole informali di accettazione delle prepotenze. C’è per fortuna la nota positiva dei difensori sul 18-20%: loro sono ben voluti dai compagni e sono anche i più popolari. È bene agire cercando di promuovere i difensori della vittima come modello positivo.
Vediamo ora il ruolo della famiglia: essa agisce come fattore di rischio, ne ho già parlato sia per il disimpegno morale sia per la attenzione circa i segni indiretti che possono segnalare un fenomeno in atto. La cosa più pericolosa in famiglia è la presenza di stili educativi sbagliati, per esempio i prepotenti sono quelli che hanno percepito in famiglia una freddezza emotiva, con genitori che spingono troppo all’autonomia, a sedare le emozioni, in questo modo sviluppano meno l’empatia. A volte i futuri bulli si sono sentiti rifiutati oppure hanno percepito momenti violenti di correzione non solo fisici ma anche per esempio di squalificazione. Oppure al contrario hanno una famiglia troppo permissiva, oppure sentono che la famiglia è poco unita e non c’è legame, oppure hanno una comunicazione problematica con il padre o, ancora, cì sono conflitti tra i genitori. Anche l’eccessiva protezione può essere un rischio per le vittime.
Vediamo adesso l’intervento, il che cosa fare. Ci deve essere anzitutto una consapevolezza tra tutti gli educatori del fenomeno del bullismo in tutta la sua gravità. Ci vuole una sinergia educativa tra scuola e famiglia, bisogna fare discussioni aperte sul problema coi ragazzi, parlare del bullismo con i propri figli, non aver timore di usare la parola per cercare di capire se queste cose le hanno viste accadere. Occorre varare progetti, attività tesi a valorizzare l’individuo per cambiare il modo di convivenza. Se ragazzi non hanno il coraggio di difendere, che almeno consolino la vittima, che ne parlino se non con gli insegnanti con voi nonni. Occorre avere una cultura del rispetto dell’altro. Importante è creare un patto educativo tra scuola e famiglia, perché spesso si creano invece delle barriere
Sul fronte del modello educativo familiare ribadisco l’importanza del riprendere le mancanze, rimproverando il comportamento più che il bambino. Nel caso noi si trascuri qualche atto morale, ammettiamo i nostri errori. Non trascuriamo occasione per potenziare le competenze empatiche, per accrescere l’autostima. Se si riesce, è molto utile anche lo strumento dell’ironia per scardinare la prepotenza. Se in famiglia notate che vostro nipote è prepotente, dovete intervenire in modo deciso, chiedete spiegazioni, cercando però di dare sempre una via d’uscita, in modo che il ragazzo possa scegliere. Se vostro nipote è spettatore, fate notare chiaramente la non positività, invitatelo quanto meno a consolare il compagno vittima, siate capaci di ascoltare, cercando sempre un canale comunicativo.