Bene, una splendida giornata quella trascorsa da una cinquantina di vecchi e nuovi amici nella “dimora” di villa Ambiveri in Seriate abbracciata dal suo bel parco, che ci ha accolto per trascorrere finalmente in comune il primo giorno di libertà e distensione, dopo lunghe settimane ingrigite dal Covid.
Ma questa è solo la cornice del nostro “Incontro di Primavera” durante il quale abbiamo scambiato molte parole con Peppino Zola, Robi Ronza e Francesco Botturi i quali ci hanno aiutato a ricordare i perché e l’incremento, negli anni, del valore culturale della Associazione, ripercorrendo la nostra storia, le iniziative più attuali e fornendoci anche una analisi del contesto nel quale ci stiamo dibattendo. Qui sotto ne trovate le relative relazioni.
PEPPINO ZOLA
ROBI RONZA
FRANCESCO BOTTURI
Momento clou della giornata è stato l’intervento del Prof. Adriano Dell’Asta – vicepresidente della Fondazione che ci ha ospitato – che ha ampiamente descritto il panorama storico-politico dal quale proviene e si svolge la guerra in Ucraina dove due popoli fratelli o quantomeno cugini, accumunati da un patrimonio culturale comune si stanno ferocemente dilaniando. Ve ne daremo un resoconto, non appena riceveremo il testo della relazione.
In conclusione, abbiamo poi tenuto la nostra Assemblea annuale, descritto le prossime iniziative e lanciato il progetto per accogliere “nuovi nonni” tra le fila dei nostri iscritti.
PRESENTACI UN AMICO
In proposito, vi invitiamo ad attivarvi per promuovere nuove iscrizioni non tanto per soddisfare esigenze di bilancio (anche se le conseguenti maggiori entrate consentirebbero di allargare lo spettro delle nostre iniziative), quanto soprattutto per allargare l’eco della nostra voce a sostegno della figura dei nonni il cui ruolo crescerà di importanza, tenuto conto del desolante quadro demografico che ci si prospetta e dell’accanimento in corso nei confronti della famiglia.
Pierluigi Ramorino
Dopo due anni di pandemia che ci ha tenuti lontani fisicamente e dopo otto anni dalla fondazione dell’associazione Nonni 2.0 (aprile 2014) è bene ridirci i motivi del nostro stare insieme.
Innanzitutto, come questa avventura è iniziata?
Mia moglie Adriana, quando le ho raccontato quello che la cultura gender faceva nelle scuole in cui riusciva ad entrare dicendo ai ragazzi cose pazzesche, disse “Devono passare sul mio corpo per entrare nelle scuole a dire queste cose” e aggiunse che i nonni dovevano mettersi insieme per aiutarsi in questa battaglia. Pochi giorni dopo, ero stato incaricato da un gruppo di associazioni a redigere una sorta di manifesto a favore della libertà di educazione. Pensando a chi dovessero essere i destinatari di tale documento, mi vennero in mente i genitori, gli insegnanti, i presidi e poi pensai che avrei dovuto aggiungere anche i nonni, che hanno una grande funzione educativa. Con questa idea ritornammo a parlare con alcuni amici nonni recentemente andati in pensione e l’idea di creare un’associazione di nonni venne subito accolta da tutti. L’associazione, dunque, è nata da una precisa iniziativa e quando si prende iniziativa qualcosa sempre succede, come è successo anche alla nostra associazione.
La nostra associazione è nata con la coscienza che ciascuno di noi ha una grande responsabilità educativa e sociale fino all’ultimo minuto della vita, sia che siamo “efficienti” sia che siamo “fragili” (di solito la cultura dominante sottolinea degli anziani solo la fragilità, sbagliando).
A questo proposito, papa Francesco, nel suo messaggio in occasione della prima giornata dei nonni, ebbe ad esprimersi così: “Non importa quanti anni hai, se lavori ancora oppure no, se sei rimasto solo o hai una famiglia, se sei diventato nonno o nonna da giovane o più in là con gli anni, se sei ancora autonomo o se hai bisogno di essere assistito, perché non esiste un’età per andare in pensione dal compito di annunciare il Vangelo, dal compito di trasmettere le tradizioni ai nipoti. C’è bisogno di mettersi in cammino e, soprattutto, di uscire da sé stessi per intraprendere qualcosa di nuovo”.
Quindi ci siamo messi insieme per aiutarci a prendere coscienza di questa nostra responsabilità, responsabilità “personale” che già viviamo per natura, ma che deve essere aiutata, perché la cultura che ci circonda dice esattamente il contrario. La chiesa e il movimento ci educano a questa responsabilità, ma il nostro metterci insieme “specifico” ci aiuta e aiuta anche la Chiesa.
Siamo partiti con la stesura di un MANIFESTO, che è abbastanza impressionante rileggere dopo alcuni anni.
Ecco che cosa scrivevamo in quel manifesto: “Nel mondo in cui viviamo i nonni, custodi della memoria, sono più che mai chiamati ad essere attivi testimoni delle virtù e delle esperienze che, alla prova del tempo e della vita, si sono dimostrate utili e valide per affrontare le sfide personali e sociali del tempo presente. In un’epoca di fragilità psicologica diffusa, con la loro stessa presenza i nonni testimoniano la capacità dell’uomo di superare le difficoltà della vita. In un’epoca di crisi di civiltà come quella che si sta attraversando, i nonni, consapevoli del valore della tradizione cristiana come fondamentale risorsa e come fonte di energie per affrontare le sfide del presente, sono chiamati con la loro testimonianza di vita, con i loro gesti e le loro parole a farla incontrare ai più giovani. In un’epoca sempre più segnata dalla tentazione di nuove e insidiose forme di autoritarismo, i nonni sono chiamati a dare un loro specifico contributo alla difesa e alla promozione della libertà; in tale prospettiva, innanzitutto, anche se non solo, a impegnarsi perché sia ovunque tutelata la libertà di educazione e venga assicurata ai nipoti e alle future generazioni una formazione che tenga conto dei principi di realtà, natura e ragione”.
Le parole del nostro manifesto sono state confermate, in varie occasioni da papa Francesco: “La mancanza di memoria storica è un grave difetto della nostra società. È la mentalità immatura dell’“ormai è passato”. Conoscere e poter prendere posizione di fronte agli avvenimenti passati è l’unica possibilità di costruire un futuro che abbia senso. Non si può educare senza memoria: «Richiamate alla memoria quei primi giorni» (Eb, 10,32). I racconti degli anziani fanno molto bene ai bambini e ai giovani, poiché li mettono in collegamento con la storia vissuta sia della famiglia sia del quartiere e del Paese. Una famiglia che non rispetta e non ha cura dei suoi nonni, che sono la sua memoria viva, è una famiglia disintegrata; invece, una famiglia che ricorda è una famiglia che ha futuro”. (Amoris laetitia, punto 193)
E poi se preghiamo i vespri del lunedì troviamo il salmo 144 che dice: “Una generazione narra all’altra le Tue opere e annuncia le tue meraviglie”.
Circa il tema della fragilità, ecco le parole del papa: “Vorrei dirti che c’è bisogno di te per costruire, nella fraternità e nell’amicizia sociale, il mondo di domani: quello in cui vivremo – noi con i nostri figli e nipoti – quando la tempesta si sarà placata. Tutti «dobbiamo essere parte attiva nella riabilitazione e nel sostegno delle società ferite»”.
Sulla crisi di civiltà, il Papa ha spesso parlato di “scarto” e a proposito della cultura gender ha parlato di abbaglio del pensiero moderno.
E a proposito della libertà, Francesco ha così scritto nel punto 181 dell’Esortazione Apostolica Christus Vivit: “Pensate a questo: se una persona vi fa una proposta e vi dice di ignorare la storia, di non fare tesoro dell’esperienza degli anziani, di disprezzare tutto ciò che è passato e guardare solo al futuro che lui vi offre, non è forse questo un modo facile di attirarvi con la sua proposta per farvi fare solo quello che lui vi dice? Quella persona ha bisogno che siate vuoti, sradicati, diffidenti di tutto, perché possiate fidarvi solo delle sue promesse e sottomettervi ai suoi piani. È così che funzionano le ideologie di diversi colori, che distruggono (o de-costruiscono) tutto ciò che è diverso e in questo modo possono dominare senza opposizioni. A tale scopo hanno bisogno di giovani che disprezzino la storia, che rifiutino la ricchezza spirituale e umana che è stata tramandata attraverso le generazioni, che ignorino tutto ciò che li ha preceduti”.
L’associazione Nonni 2.0 è andata avanti in tre direzioni:
- La direzione culturale, con l’organizzazione di moltissimi incontri incentrati su due filoni principali: il compito educativo (a cui si riferisce anche il corso sul web in atto in queste settimane) e il rapporto tra generazioni, a proposito del quale papa Francesco ha scritto: “San Giovanni Paolo II ci ha invitato a prestare attenzione al posto dell’anziano nella famiglia, perché vi sono culture che «in seguito ad un disordinato sviluppo industriale ed urbanistico, hanno condotto e continuano a condurre gli anziani a forme inaccettabili di emarginazione». Gli anziani aiutano a percepire «la continuità delle generazioni», con «il carisma di ricucire gli strappi». Molte volte sono i nonni che assicurano la trasmissione dei grandi valori ai loro nipoti e «molte persone possono constatare che proprio ai nonni debbono la loro iniziazione alla vita cristiana». Le loro parole, le loro carezze o la loro sola presenza aiutano i bambini a riconoscere che la storia non inizia con loro, che sono eredi di un lungo cammino e che bisogna rispettare il retroterra che ci precede. Coloro che rompono i legami con la storia avranno difficoltà a tessere relazioni stabili e a riconoscere che non sono i padroni della realtà. Dunque, «l’attenzione agli anziani fa la differenza di una civiltà. In una civiltà c’è attenzione all’anziano? C’è posto per l’anziano? Questa civiltà andrà avanti se saprà rispettare la saggezza, la sapienza degli anziani»”.
E ancora: “La vecchiaia, certamente impone ritmi più lenti, spazi di senso della vita sconosciuti all’ossessione della velocità… L’alleanza tra le due generazioni estreme della vita – i bambini e gli anziani – aiuta anche le altre due generazioni – i giovani e gli adulti – a legarsi a vicenda per rendere l’esistenza di tutti più ricca di umanità”.
Grande rilievo ha avuto il concorso scolastico lanciato tre anni fa, che ha messo in mostra il grande e cosciente affetto dei nipoti verso i nonni, cosa di cui la nostra cultura dominante tace. - La direzione ecclesiale ha dato vita ad ottimi rapporti seguiti da importanti incontri con il cardinal Angelo Scola, l’arcivescovo Mario Delpini e con l’ufficio famiglia della curia di Milano.
Abbiamo fatto pervenire al Sinodo in corso il nostro contributo di laici (richiesto da chi ha indetto il Sinodo) che si basa su questi punti: “Pensare e sentire con Cristo”, “I nonni e le relazioni intergenerazionali”, “I nonni e il popolo cristiano”, “Aspetti propositivi dell’esperienza dei nonni”.
Sotto quest’ultimo aspetto abbiamo sottolineato come anche nella Chiesa c’è il pericolo che i nonni vengano emarginati e relegati ad attività da dopo lavoro, mentre essi, come ha sottolineato anche il Papa, devono continuare ad essere protagonisti, insieme alla famiglia di cui fanno parte, nelle attività e nelle iniziative delle parrocchie, delle associazioni e dei movimenti (il testo completo del nostro contributo può essere trovato sul sito). - La direzione sociale e istituzionale ha affrontato varie tematiche. Abbiamo proposto le detrazioni fiscali per gli aiuti economici che i nonni danno a nipoti e figli. Abbiamo proposto che i nonni possano essere delegati dai propri figli per essere presenti negli organismi scolastici. Abbiamo preso seri contatti con la FAFCE, che è un’associazione europea che raggruppa varie associazioni che si occupano dei temi della famiglia: fin dai primi incontri siamo riusciti a inserire in alcuni documenti la presenza dei nonni a cui prima non si faceva riferimento. Abbiamo prodotto un bel manifesto che vuole essere una lettera aperta ai nostri nipoti per metterli in guardia circa il pericolo che loro in futuro non riescano ad essere liberi come lo siamo stati noi (vedasi sito). Abbiamo scritto di non avvalersi più dei servizi della Disney vista la sua tendenza a farsi ambasciatrice della cultura gender. Partecipiamo alla rete “Ditelo sui tetti”, che raggruppa circa novanta associazioni impegnate nella difesa della vita e della libertà di educazione e quindi siamo tra gli organizzatori dell’incontro che si terrà il 14 maggio sul suicidio assistito. Abbiamo attivato un efficace rapporto con il parlamento europeo tramite l’eurodeputato Massimiliano Salini.
In sintesi, sono chiare le parole di papa Francesco: “Il Signore non ci scarta mai. Lui ci chiama a seguirlo in ogni età della vita e anche l’anzianità contiene una grazia e una missione, una vera vocazione del Signore. L’anzianità è una vocazione. Non è ancora il momento di ‘tirare i remi in barca’”.
Tutto ciò ci invita innanzitutto ad assumere personalmente le nostre responsabilità di nonni e in questo ci aiuta un’altra espressione di papa Francesco: “Questo periodo della vita è diverso dai precedenti, non c’è dubbio; dobbiamo anche un po’ “inventarcelo”, perché le nostre società non sono pronte, spiritualmente e moralmente, a dare ad esso, a questo momento della vita, il suo pieno valore. Una volta, in effetti, non era così normale avere tempo a disposizione; oggi lo è molto di più. E anche la spiritualità cristiana è stata colta un po’ di sorpresa, e si tratta di delineare una spiritualità delle persone anziane. Ma grazie a Dio non mancano le testimonianze di santi e sante anziani!” (Omelia in Piazza San Pietro, marzo 2015).
Quindi noi siamo insieme per sostenerci in questo compito e anche per aiutare, con la nostra testimonianza, la Chiesa e il movimento ad aiutarci.
Peppino Zola
È in corso in sede internazionale una grande battaglia di principio che la stampa italiana ignora, quella pro o contro l’affermazione dell’aborto come diritto umano. Da anni all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che ha luogo in ottobre a New York, mozioni per l’affermazione dell’aborto come diritto umano vengono battute soprattutto dal voto contrario della maggior parte degli Stati dell’emisfero Sud.
Si deve però considerare che, in sede di definizione di progetti di cooperazione allo sviluppo e per aiuti umanitari, ogni volta che si parla di “salute sessuale e riproduttiva” nel linguaggio dell’Onu significa che si prevede anche il finanziamento dell’aborto. Questo su impulso innanzitutto della maggior parte dei Paesi europei e, quando il presidente è abortista come oggi accade, anche degli Stati Uniti.
La battaglia per l’affermazione dell’aborto come diritto umano, che viene finora persa in sede Onu, l’anno scorso è stata vinta in sede di Parlamento Europeo. Lo scorso 24 giugno 2021 l’Europarlamento ha approvato con 378 voti favorevoli, 255 contrari e 42 astenuti un Rapporto, il cui primo firmatario era il socialdemocratico croato Predlag Fred Matic, ove si afferma tra l’altro che l’aborto è un diritto e che l’obiezione di coscienza al riguardo è una negazione di assistenza medica. Il Rapporto, un ampio documento, è una specie di Magna Carta anti familiare, antinatalista e LGBT.
Si tratta di un documento di indirizzo, privo di efficacia immediata, tanto più che tocca questioni che sono di competenza non dell’Ue ma degli Stati membri, ma resta rappresentativo di come oggi in Europa la si pensa in materia. A favore del Rapporto hanno votato non solo i socialdemocratici in blocco ma anche deputati di altri raggruppamenti tra cui parecchi popolari. Ad esempio, dei cinque deputati di Forza Italia solo due, tra cui il nostro amico Salini, hanno votato contro. Gli altri o erano assenti come Berlusconi o si sono astenuti.
«Ce l’abbiamo fatta! Il Parlamento Ue ha approvato la mia relazione sulla salute sessuale e riproduttiva e sui diritti delle donne con 378 voti a favore», ha commentato Fred Matic: «alla fine abbiamo una posizione chiara: tutti in Europa devono avere accesso alla contraccezione, alla riproduzione medicalmente assistita, all’aborto e ad altri servizi sanitari!». Per il partito socialdemocratico in Europa il successo è netto, e quello dell’approvazione del Rapporto Matic è stato «Un grande giorno per tutte le donne d’Europa! Siamo stati forti insieme, abbiamo combattuto e abbiamo vinto». E annunciano: «La nostra lotta continua!».
Se questa è la situazione in Europa le cose stanno molto diversamente negli Stati Uniti dove – anche qui nel silenzio della nostra stampa — la maggior parte della gente ritiene che l’aborto sia un male e che non debba essere legale in ogni caso o salvo pochi casi (violenza, incesto, causa certa di morte per la gestante). Secondo un sondaggio del gennaio scorso anche il 52 per cento dei Millennials americani si dice contrario all’aborto; da quando il battito cardiaco può essere percepito in ogni caso, oppure salvo il caso in cui il concepimento sia frutto di una violenza o di incesto oppure quando la vita della madre è in pericolo. È questo l’esito di un sondaggio condotto dalla Vinea Research nella prima settimana di quel mese. L’anno scorso risultava invece che fosse il 47 per cento. Tra i più giovani insomma il no all’aborto sta crescendo ed è ormai il giudizio della maggioranza.
Si tenga poi conto che negli Usa l’aborto è, salvo limiti posti dagli Stati, consentito fino alla nascita (per cui si confonde con l’infanticidio) a seguito non di una legge, ma per effetto di una sentenza della Corte Suprema; e che nella legislazione della maggior parte degli Stati, competenti per materia, continua a risultare vietato.
Non solo il Texas, di cui si è parlato anche da noi, ma anche altri Stati americani hanno di recente introdotto il battito cardiaco percepibile del feto come limite invalicabile per praticare l’aborto. In effetti il nascituro nella sua essenza c’è già tutto anche prima, ma l’idea di interrompere un battito cardiaco evidentemente colpisce, e si dimostra di aiuto sulla via della presa di coscienza della natura da subito umana del prodotto del concepimento.
Al di là di questo resta anche da considerare il fatto che il no all’aborto sta procedendo negli Stati Uniti malgrado che la comunicazione di massa che conta sia tutta schierata dalla parte opposta. Ciò dimostra come non sia vero che la gente comune oggi non è più comunque in grado di farsi delle idee anche in contrasto con quanto legge o sente sui giornali e alla televisione.
Diversamente da quanto vogliono farci credere, insomma, la questione dell’aborto non è affatto chiusa, ma nel mondo anzi l’opposizione alla sua pratica legale sta aumentando.
Ovviamente c’è uno stretto nesso tra la cultura dell’aborto e quella della vita in generale, che qui ricordiamo senza avere il tempo di argomentarla.
E lo stesso dicasi di quella cultura secondo la quale l’uomo – che essendo intelligente sfugge alla legge della selezione naturale — è perciò stesso una presenza disturbante sulla terra. Una presenza che lascia un’impronta, che insomma squilibra la naturale armonia che avrebbe la terra se fosse abitata solo da animali. C’è chi, in nome di questa concezione, ha teorizzato l’urgenza di un rewildering, un rinselvatichimento. C’è un inglese, un collaboratore regolare del Guardian, che ha scritto un libro in cui si dice che in Europa l’uomo dovrebbe ritirarsi in piccoli numeri in aree circondate da una fascia di grandi orti biologici per il proprio sostentamento restituendo (!) il resto alle foreste, ai grandi carnivori e agli ungulati che ne sono la preda naturale.
Questa visione prende le mosse dall’idea che l’uomo stia consumando risorse terrestri che sono limitate e insostituibili. Un’idea che le grandi fondazioni americane cominciarono a diffondere fuori degli Stati Uniti negli anni ’60 del secolo scorso, mentre all’interno del Paese si sosteneva una forte politica di crescita demografica grazie alla quale gli Usa sono passati dai 200 milioni di abitanti che avevano nel 1970 ai 327 milioni che ne hanno adesso.
Un ruolo cruciale nella diffusione della paura della crescita demografica ebbe il Club di Roma fondato da Aurelio Peccei e Alexander King, così chiamato perché la sua prima riunione si svolse appunto a Roma, ma infine con sede a Winterthur (Svizzera).
Il Club conquistò l’attenzione internazionale con il suo Rapporto sui limiti dello sviluppo, meglio noto come Rapporto Meadows, pubblicato nel 1972, il quale prediceva che la crescita economica non potesse continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali, specialmente petrolio, e della limitata capacità di assorbimento degli inquinanti da parte del pianeta..
Pubblicati negli anni della grande crisi petrolifera e dell’unica crisi dei mercati cerealicoli della seconda metà del secolo, i due rapporti realizzati dal MIT per il Club di Roma produssero immensa attenzione. Tuttavia, l’essenza del messaggio, la previsione che dopo l’anno 2000 l’umanità si sarebbe scontrata con la rarefazione delle risorse naturali, non è poi stata confermata dai fatti.
Ciononostante, l’idea che ne era derivata, che cioè si dovesse bloccare bruscamente la crescita demografica, anche a costo di andare verso società in cui i vecchi sarebbero stati sempre più numerosi dei giovani, divenne un po’ ovunque parte del buon senso comune. E adesso che, in un mondo globalizzato, non è più possibile far circolare in un continente un’idea contraria a quella che si fa circolare in altri, questa convinzione si sta affermando anche negli Usa.
In realtà sia per noi che per tutta la Terra nel suo insieme, nella quale siamo l’unica presenza consapevole, la cosa più importante è che ci siamo. La cosa più importante è la presenza umana. C’è perciò qualcosa di tragicamente schizofrenico nel fatto che con la Cop26 di Glasgow dello scorso novembre 2021 l’Onu sia arrivata alla sua ventiseiesima Conferenza sul clima, convocata a soli sei anni dall’analogo incontro precedente, mentre la sua ultima Conferenza sulla Popolazione risale al 1994.
E questo nonostante che persino in un documento pubblicato nel luglio 2019 da un’agenzia dell’Onu, lo United Nations Population Fund, Unpra, si prendano le mosse dalla considerazione che mentre la stabilità demografica implica la nascita di circa 2,1 figli per donna oggi “circa metà della popolazione del mondo vive in un Paese con un tasso di fertilità inferiore a tale livello”, e che “in molti Paesi dell’Asia orientale, del sud Europa e di parti dell’Europa centrale, orientale e sudorientale la fertilità è anche inferiore, tra 1,0 e 1,4”, con le famiglie in cui le donne sono persone nate attorno alla metà degli anni ’70 ferme a 1,4-1,6 figli. A parte l’Africa sub-sahariana, tutto il mondo è oggi fermamente orientato verso il declino demografico. Entro il 2050 più di due terzi della popolazione mondiale si troverà a vivere in Paesi con un tasso di fertilità inferiore a 2,1 bambini per donna, ossia al di sotto del cosiddetto “livello di sostituzione”, ossia della natalità necessaria perché ci sia un nuovo nato per ogni persona che lascia la scena di questo mondo.
Il riconoscimento della gravità di questa situazione è tanto più rilevante se si considera che l’Unpra è una delle agenzie dell’Onu oggi più apertamente schierate a favore del controllo delle nascite ad ogni costo, e quindi della normalizzazione e della legalizzazione dell’aborto. Nel suo stesso sito ufficiale mentre indica una sola volta per esteso il proprio nome originario preferisce definirsi come “l’agenzia dell’Onu per la salute sessuale e riproduttiva”, espressione che, dicevamo, nel linguaggio delle Nazioni Unite ha un significato preciso. Implica cioè l’affermazione dell’aborto come una delle varie possibili forme di controllo delle nascite, che infatti l’Unpra tramite i suoi programmi tenta sempre di imporre in quella larga maggioranza dei Paesi del mondo in cui tuttora l’aborto volontario continua ad essere un reato. Il documento in questione è una «bozza di lavoro» (working paper), ossia ha ufficialmente un livello minimo, e un titolo molto dimesso «Bassa fertilità, una rassegna delle cause» (Low Fertility, a rewiew of determinants). Chissà mai che qualcuno in qualche ministero degli Esteri ciononostante se ne accorga e ne prenda spunto per avviare un’azione diplomatica volta al superamento di quella tragica schizofrenia di cui si diceva?
Adesso che la Conferenza sul clima si è comunque conclusa con il solenne buco nell’acqua che era prevedibile e inevitabile per almeno un paio d’anni dovrebbe esserci lo spazio sufficiente alla ribalta internazionale per porre il problema della crisi demografica. Sarebbe meglio non perdere l’occasione.
In questo quadro come Associazione che cosa possiamo fare?
A mio avviso possiamo in primo luogo informarci e informare percorrendo sentieri informativi diversi da quelli dell’informazione corrente, come ho qui cercato di fare. Poi cercare di raggiungere le grandi arene dove si forma l’opinione comune.
Faccio qui l’esempio della nostra collaborazione con la FAFCE, di cui altri potranno dire meglio di me, e del nostro incipiente rapporto con l’europarlamentare Massimiliano Salini a proposito del quale allego qui per documentazione un nostro recente scambio di messaggi:
Caro Massimiliano,
il rapporto tra noi e i tuoi uffici si è ben avviato, e te ne siamo grati.
Abbiamo visto, con piacere, che recentemente nel Parlamento europeo è stato costituito un gruppo di parlamentari che perorano la causa della vita e della famiglia con non meno determinazione di quella che dimostrano, in contrario, Predrag Fred Matic e gli altri deputati che hanno sostenuto e poi votato il documento che passa sotto il suo nome.
Quale è la tua valutazione su questa iniziativa? Tu fai parte di questo gruppo?
Nel caso in cui tu non ne facessi parte, ci potresti segnalare qualche collega amico che già ne fa parte, in modo che possiamo provare a stabilire un contatto anche con lui?
Grati del tuo interessamento i nonni colgono l’occasione per inviarti cordiali auguri per la prossima Santa Pasqua.
Pigi Ramorino, Giovanna Rossi, Robi Ronza, Gianmario Giagnoni
Cari tutti,
Il gruppo di eurodeputati al quale si fa riferimento nella mail è un gruppo di lavoro costituito internamente al gruppo parlamentare dei Conservatori e Riformisti, pertanto non mi sarebbe possibile farne parte poiché non coinvolge deputati del PPE. Possiamo cercare dei contatti all’interno di questo gruppo ma non saranno esponenti della nostra famiglia politica.
Colgo l’occasione per condividere un’iniziativa a cui sto lavorando insieme ai colleghi del PPE, On. Romana Tomc e On. Karlo Ressler. L’iniziativa in questione è una mozione di risoluzione sul tema della crisi demografica e del ruolo della famiglia, che dovrebbe essere portata in plenaria il prossimo mese.
Trovate in allegato il testo della risoluzione in inglese.
Con il ritorno al lavoro in presenza, mi auguro che le attività dell’intergruppo per le sfide demografiche, l’equilibrio famiglia-lavoro e la transizione di cui faccio parte possa riprendere i lavori a pieno regime e creare occasioni di incontro e di confronto.
Sarà mia premura, insieme ai miei collaboratori, tenervi al corrente di questo
tipo di iniziative.
Un caro saluto,
Massimiliano
Dopo il denso intervento di R. Ronza A proposito di aborto e di natalità, si è posto un giusto interrogativo: quale rapporto tra le problematiche mondiali di cui ci ha parlato e la nostra diretta e limitata esperienza?
Domanda opportuna che aiuta a recuperare l’unità delle dimensioni di quello che siamo e che facciamo, a cui anche l’Associazione Nonni 2.0 vuole costantemente educare. Abbiamo una concezione della “esperienza” per cui l’accadere particolare e le dimensioni universali della realtà sono inscindibili, perché questa è una verità antropologica, compiutamente fondata nella singolarità universale di Cristo (Gesù di Nazareth, Centro del cosmo e della storia).
Qui possiamo aiutarci a comprendere una componente dell’analisi di Ronza, ponendoci una domanda: che cosa motiva nel suo insieme il poderoso, insistito, superorganizzato tentativo di far prevalere nel senso comune, nella cultura, nelle istituzioni un certo complesso di convincimenti e di provvedimenti che riguardano la vita?
Parliamo dell’identità sessuale plurima (identità di genere) e liberalizzata (in cui l’esaltazione dell’omosessualità ha un ruolo centrale); della pluralizzazione famigliare (le famiglie; idea di famiglia disarticolata: matrimonio sconnesso da fedeltà/stabilità, sessualità da generazione; figliazione da legami tra generazioni); del concepimento (negato o gestito tecnicamente); della nascita negata come aborto o affermata come manipolazione (genetica o di gestazione cfr. “utero in affitto); della malattia e della vecchiaia consegnate alla possibilità di disporne in modo eutanasico.
Tutti temi che ruotano intorno all’interpretazione della vita e all’esercizio della libertà nei suoi confronti (affermata o negata), al suo significato sociale, alla sua regolazione giuridica, ecc.; cioè temi che concorrono a delineare un’intera antropologia a partire dalla sua base biologica e che puntano a riconfigurare il mondo dei valori e quello del diritto. In termini sintetici, temi che tendono a riconfigurare la cultura in termini “bio-politici”, cioè di politica della vita, in cui i temi della vita sono al centro della gestione politica del bene pubblico.
È chiaro che tutto ciò non è un fenomeno marginale, ma un’operazione in grande stile che sta pervadendo tutto il mondo occidentale, avendo dalla sua parte anche operatori istituzionali di vertice come l’ONU.
L’interrogativo si fa così più pressante: a quale scopo tutto questo? Spesso si accettano risposte di tipo “complottista”: operazioni di potere da parte di soggetti personali (alla Soros) o/e di organizzazioni (più o meno segrete). Può anche essere; benché – come evidenzia Ronza – i giochi sono molto espliciti e non hanno bisogno di spiegazioni occulte. Ma soprattutto, chiunque siano gli agenti, resta il problema – culturalmente più importante – di cogliere lo scopo verso cui si muove questo “movimento” mondiale. Dallo scopo si comprende meglio il fenomeno stesso e perché esso ci riguarda.
Al fondo sta – a mio parere – un’interpretazione militante del nostro tempo secondo la quale la cultura “biopolitica” di cui dicevo appare benefica e all’avanguardia perché ritenuta capace di rispondere al problema di fondo del ns tempo, quello cioè del “cambiamento d’epoca” – come lo chiama papa Francesco − che è un processo ipercomplesso ma che sta visibilmente in tutte le cose del nostro tempo e che, benché dia una sensazione di confusione e di smarrimento, in realtà ha una sua logica abbastanza precisa; come quando crolla un muro, il polverone che provoca non va scambiato con il fatto del crollo che avviene secondo precise regole fisiche analizzabili nelle loro cause e conseguenze.
In che cosa consiste, dunque, tale processo epocale ipercomplesso, ma visibile e comprensibile? In primo luogo, la trasformazione della faccia della terra ad opera della tecno-scienza. L’infosfera (comunicazione e informazione), le manipolazioni della biosfera (biotecnologie del vivente e dell’uomo), il lavoro su base tecnologica e la sua organizzazione, il nesso (squilibrato) di economia e finanza, e l’effetto complessivo di globalizzazione del pianeta stanno cambiando le strutture portanti della realtà sociale e dell’esperienza che ne facciamo.
In secondo luogo, l’esaurimento dell’epoca moderna e della sua cultura A livello culturale la modernità è alla fine perché i suoi parametri di giudizio e di valore sono superati. In gran parte la cultura moderna si è concepita e organizzata come concorrenziale alla millenaria tradizione cristiana e poi anche ostile e sostitutiva di essa. E ciò lo ha fatto proponendo dei suoi grandi ideali; per così dire con l’iniziale maiuscola, come Soggetto e Libertà; Storia, Scienza, Tecnica, Progresso; Stato, Diritti, Democrazia; ma anche Rivoluzione, Popolo, Razza, ecc. Tali grandi Idee hanno esaurito lungo il ‘900 la loro carica storica e la loro credibilità e quindi hanno perduto la loro portata universale e unificante; mentre la secolarizzazione moderna, a sua volta, ha in gran parte eliminato dalla vita pubblica ogni legame religioso e poi anche morale di portata universale.
Deriva da questo il fatto che il presente contemporaneo sia quasi senza passato, ma nello stesso tempo debba reinventarsi il mondo, cioè debba trovare qualche ordine di senso condiviso che fornisca un sostituto dei grandi valori perduti e renda possibile un piano comune di convivenza.
Ma su che cosa può fondarsi tale nuovo ordine di senso, quando la dissoluzione della modernità lascia sul campo un soggetto umano radicalmente impoverito rispetto alla grande tradizione antropologica moderna (del Soggetto prometeico, costruttore, protagonista, progettuale, ecc)? Soggetto ridotto a individuo autoreferenziale e/o entità “impersonale”, fattore subordinato del funzionamento della megastruttura tecnocratica.
In questa nuova condizione storica c’è chi o ci sono coloro che prendono l’iniziativa di decidere quale debba essere la nuova tavola di valori adatti alle nuove condizioni di funzionamento del mondo; ovvero di stabilire a quali criteri debba rispondere il presente e futuro cittadino del mondo capitalista globalizzato e (forse) democratico (meglio membro di una discutibile democrazia su base tecnocratica); criteri su cui avere consenso nell’opinione pubblica, nella coscienza morale e nel loro riconoscimento giuridico.
I contenuti di quello che ho chiamato cultura biopolitica sono quelli più adatti all’operazione epocale necessaria. Per tre motivi rilevanti. 1. Hanno tutti come base l’idea individualistica avanzata, cioè l’affermazione del singolo concepito come soggetto incentrato sul suo benessere, che è tutto ciò che resta a livello di cultura occidentale diffusa dell’idea moderna di Soggetto; 2. Sono valori che esaltano la mentalità operativa propria dell’uomo tecnologico, abituato a pensare e fare in termini di trasformazione, produzione, riproduzione, cambiamento secondo efficienza e soddisfazione; infatti, l’individuo autoreferenziale dinamicamente considerato è un individuo caratterizzato dalla capacità di manipolazione della realtà (compreso sé stesso); 3. L’individuo autoreferenziale dispositivo è massimamente compatibile con la società globalista tecnocratica (costruita su base di poteri tecnici), che concede il massimo di libertà soggettive in cambio di una piena integrazione nei nuovi poteri gestiti dalle grandi organizzazioni (finanziarie, tecnologiche, commerciali, ecc.).
Queste mi paiono essere le ragioni di forza (che non coincide con la verità, ovviamente) della cultura libertaria contemporanea, che appunto consiste nel suo far sistema e nel proporsi come risposta credibile al problema di fornire criteri “vitali” alla cultura del nuovo presente e del suo futuro. Essere consapevoli di questo aiuta a non vedere i singoli fenomeni culturali e legislativi come fatti isolati e occasionali, bensì come unitari e sistemici.
In termini biblici siamo collocati in una sfida del tipo Davide e Golia. Si pone perciò la domanda su quale sia il punto debole del gigante. Anche nel nostro caso non sono i piedi di argilla, bensì una mente ottusa: l’umano individualista e narcisista che viene idolatrato è sorprendentemente povero e socialmente dissolutore (una società degli individui soddisfatti, soli, sofferenti e conflittuali). Il sasso letale è fatto di tutto ciò che invece costituisce legame, comunità, generatività. Sta a noi avere la fionda e la mira di Davide.
Francesco Botturi