Noi nonni non possiamo sottrarci dal giudicare un fenomeno che, nella sua idiozia, si sta espandendo un po’ ovunque: l’abbattimento delle statue di certi personaggi storici. Colpisce, in particolare, l’abbattimento delle statue di Cristoforo Colombo, negli USA, perché gli abbattitori non ci sarebbero neppure, se non ci fosse stato quell’uomo. In questo caso, si tratta proprio del tentativo di far fuori una volta per tutte la figura del “padre”, santo o demone che sia.
I nonni, che incarnano la testimonianza che ciascuno di noi proviene da una storia, non possono non guardare con preoccupazione a ciò che sta accadendo, anche perché il fenomeno viene visto con un certo favore anche da chi, normalmente, giudichiamo come “intelligente”. La verità è che questa idiozia viene da lontano e cioè dal desiderio (conscio o inconscio che sia) di riaffermare in ogni occasione l’assoluta autonomia di ogni individuo, quasi che si fosse fatto da sé.
Invece, la realtà ci dice che la nostra presenza di oggi è il frutto, buono o cattivo che sia, di una trasmissione che avviene di generazione in generazione, cioè da una storia. E la storia deve essere giudicata e verificata, ma non può essere distrutta e annientata, come cerca di fare ogni regime dittatoriale, cambiando il calendario del tempo (vedasi rivoluzione francese e fascismo, per esempio).
Un grande educatore del nostro tempo, il servo di Dio don Luigi Giussani, nel suo libro fondamentale “Il rischio educativo” afferma, in modo molto chiaro, che occorre sempre partire dalla tradizione, anche se la stessa deve essere sottoposta ad una costante verifica. Ma da lì occorre partire. La cultura di oggi, invece, si rifiuta di compiere la fatica di questa verifica e preferisce la via breve e comoda (ma sciocca) di abbattere la storia. E affermare che non c’è una storia, ma solo storie, separate, estranee, conflittuali innesca la (reciproca) distruzione. E’ la stessa logica di un puro multiculturalismo che tanto più afferma una particolare identità, tanto più distrugge la convivenza. Di comune resta solo la violenza di ciascuna parte che giustifica quella dell’altra. E questo non è accettabile.
Detto questo, non vogliamo aprioristicamente difendere gli uomini rappresentati nelle statue monumentali, anzi. Nei confronti di molti di essi, stando anche solo in Italia, potremmo esprimere giudizi molto severi, a partire da molti “eroi” del nostro Risorgimento, la cui vita privata e pubblica non meriterebbero tanta gloria. Ma anche essi hanno contribuito ad una storia che arriva fino a noi e dalla quale non possiamo prescindere, ma possiamo giudicare.
Qui veniamo al punto centrale del problema: l’abbattimento delle statue viene fatto (oltre che per idiozia) in nome di una “purezza” politica e culturale che i personaggi non avrebbero rispettato. Cioè, l’abbattimento viene fatto in nome di quel cancro della nostra epoca che si chiama “moralismo”, che è cosa lontanissima dalla morale. Con il moralismo, in ogni epoca si individua un particolare in base al quale si abbatte tutto il resto e si chiude ogni discussione ed ogni dialogo. A turno, il moralismo abbatterebbe tutte le statue erette nei vari secoli, sul presupposto di una “purezza” che non esiste.
La cultura e la tradizione cristiana ci hanno insegnato che nessuno, in forza del peccato originale che esiste in ognuno, può essere considerato privo di eventuali errori. Ciascuno, nella sua vita, ha commesso degli errori (è lealtà ammetterlo) ed allora nessuno sarebbe degno di una statua. Gli uomini hanno sempre eretto statue, non per significare una perfezione morale, ma per indicare le svolte importanti della storia, che ha visto sempre come protagonisti uomini pieni di difetti.
Questa è la condizione umana, che il moralismo si rifiuta di vedere e di guardare. Per correggere le idiozie, occorre ritornare ad impegnarsi nel compito più serio e importante della vita, che è l’educazione.
Molti pensano che la situazione possa essere cambiata aumentando le leggi. Una legge per ogni difetto! Pazzia pura! Solo l’educazione può impegnare ogni persona in un serio lavoro di verifica e di giudizio.
Da anni si continua a dire che la vera emergenza della nostra epoca è la mancanza dell’educazione. Lo si dice, ma non si assumono le dovute conseguenze. Spetta anche e, forse, soprattutto ai nonni contribuire a che tutti rifacciano proprio il coraggio dell’educazione. Infatti, per educare occorre il coraggio che deriva da un ideale vissuto.
Peppino Zola