News di dicembre 2016

LE NEWS – DICEMBRE 2016

Articoli
L'organizzazione di una società di centenari
Odile Robotti (Amministratore unico di Learning Edge, la cui divisione Talent Edge si occupa di ottimizzazione del talento organizzativo)
Dicembre 2016 Harvard Business Review
“Il Giappone, dove il trend di invecchiamento della popolazione è iniziato prima che altrove, può fornire spunti utili per comprendere il futuro che ci aspetta”.

Una vita centenaria è un dono a cui siamo poco preparati: le sue implicazioni cambieranno infatti il nostro modo di vivere profondamente. La vita fatta di tre stadi (studio-lavoro-pensione), per esempio, lascerà spazio a una vita multi-stadio in cui l’età non determinerà più la fase in cui ci si trova e in cui le competenze di transizione, cioè saper gestire il passaggio da uno stadio all’altro, saranno cruciali. L’interazione tra generazioni aumenterà perché ci si potrà trovare, con varie decadi di differenza nell’età anagrafica, nello stesso stadio della vita (immaginate un ventenne, un cinquantenne e un settantenne che seguono lo stesso corso professionale).
Il pensionamento si allontanerà non solo a causa dell’incremento dell’aspettativa di vita, degli aumenti dell’età pensionabile e di una nuova concezione più attiva dell’età matura, ma anche della necessità di integrare la pensione con redditi da lavoro. Il modello sociale che vedeva i figli assistere materialmente ed economicamente genitori anziani si disgregherà per la riduzione del tasso di natalità e le inferiori disponibilità finanziarie delle nuove generazioni entrate nel mondo del lavoro durante la recessione. Avremo quindi più persone senior nel mondo del lavoro le quali, trovandosi a lavorare su un arco di tempo prolungato in un contesto in rapido cambiamento, dovranno investire più massicciamente e a più riprese nella propria riqualificazione. Le cosiddette portfolio-careers (carriere miste composte da lavori full-time e part-time, imprenditori e dipendenti), già in ascesa, riceveranno un impulso ulteriore dai lavoratori anziani che adegueranno via via il proprio impegno lavorativo alle forze a disposizione passando da impieghi impegnativi e a tempo pieno a lavori meno stressanti e a tempo parziale, non necessariamente nello stesso settore o funzione. Il mondo nuovo richiederà che molte nostre concezioni attuali vengano riconfigurate, a partire da quella dell’invecchiamento.
Lezioni dalla società più longeva al mondo. Il Giappone, dove il trend di invecchiamento della popolazione è iniziato prima che altrove, può fornire alcuni spunti utili. Il primo è affrontare l’invecchiamento partendo da una prospettiva diversa da quella tradizionale, fondata su due pilastri superati. Il primo pilastro è che l’invecchiamento della popolazione sia solo un problema per la società. Il secondo è che essere giovani sia una condizione migliore rispetto all’essere anziani e, quindi, che l’invecchiamento (visto come perdita e deterioramento) sia da contrastare e nascondere, (anti-aging). La nuova concezione vede invece nell’invecchiamento della società opportunità sia per le maggiori risorse umane a disposizione, sia per i nuovi segmenti di mercato che si creano. Inoltre, si fonda su un nuovo paradigma, denominato smart-aging, che considera l’invecchiamento come una fase dello sviluppo degli esseri umani e un accrescimento nel quale alcune buone abitudini possono evitare o ritardare gli effetti meno desiderati (si veda l’intervista al professor Hiroyuki Murata).
La seconda lezione giapponese va nella stessa direzione della prima: è fondamentale tenere gli anziani attivi e partecipi alla società. Convincerli a lavorare più a lungo, eventualmente con una formula adattata alle minori energie e disponibilità di tempo, è un modo efficace per raggiungere l’obiettivo e beneficia la società. Infatti, non solo riduce l’indice di dipendenza (rapporto tra inattivi e attivi nella popolazione), ma ritarda la perdita di autonomia degli anziani (evitando così che gravino precocemente sulle famiglie e sul welfare) come si spiega nell’intervista a Yoshinori Fujiwara.
Implicazioni delle lezioni giapponesi. La società occidentale, ancora portatrice di molti pregiudizi nei confronti degli anziani, ha interesse ad adottare una prospettiva nuova e le organizzazioni possono giocare un ruolo in questa evoluzione. Varie forze già spingono per un maggior impiego dei senior: l’innalzamento dell’età pensionabile, lo sboom demografico che renderà prezioso questo bacino di lavoratori e le opportunità da cogliere nel mercato dei senior, che richiederanno persone in età matura nello sviluppo e nel test dei prodotti e servizi. L’esperienza giapponese aggiunge un elemento importante: i risvolti sociali positivi legati a una maggiore permanenza nel mondo del lavoro. Ecco alcuni spunti su cosa potrebbero fare le organizzazioni per facilitare questa evoluzione:
Combattere la contrapposizione demagogica tra posti di lavoro per anziani o per giovani. Fare chiarezza sulla famigerata fallacia nota come fixed lump of labor secondo la quale la quantità di lavoro richiesta in una economia sarebbe fissa, mentre sappiamo che l’impiego di lavoro espande le dimensioni globali dell’economia creando occupazione. Presentare giovani e anziani come contrapposti in un gioco a somma zero crea una polarizzazione dannosa per il lavoro in team misti junior-senior, per il trasferimento di conoscenze e per i programmi di cross-mentoring.
Sfatare i miti negativi sui lavoratori senior. Uno dei più perniciosi è quello secondo il quale i senior sarebbero meno propensi e capaci di imparare. La Harris Interactive condusse un’indagine nel 1999 sui lavoratori senior interpellando un campione di oltre 700 direttori HR negli Stati Uniti. Risultò che nel 71% dei casi i lavoratori maturi avevano le stesse capacità dei giovani di acquisire nuove competenze e il 48% di loro mostrava addirittura maggiore flessibilità e adattabilità. Un altro falso mito è che i lavoratori senior non siano top performer. Varie meta-analisi portano invece a concludere che non vi siano differenze significative tra junior e senior.
Non sovra-stimare l’impatto dei punti deboli dei senior. Il punto debole più citato probabilmente è la minore destrezza con le tecnologie informatiche. E’ vero che in genere i senior sono meno abili nell’uso delle nuove tecnologie ed è fondamentale che si aggiornino. Dobbiamo però fare attenzione a non cadere nell’effetto diavolo, che è l’opposto dell’effetto alone. L’effetto diavolo è generato da un fattore negativo capace di influenzare la percezione complessiva che si ha della persona, una sorta di contagio negativo. Inoltre, non dimentichiamo che in genere sono capaci di arrangiarsi comunque (e non vanno nel panico se non è disponibile un collegamento internet).
Riconoscere le qualità dei lavoratori senior. Nella ricerca di Harris Interactive già citata, i senior vennero considerati più ingaggiati nel proprio lavoro rispetto alle generazioni più giovani dal 75% dei rispondenti. Si trovò, inoltre, che nell’80% dei casi il turnover e l’assenteismo risultavano inferiori nei senior e nel 74% dei casi la loro affidabilità era maggiore. Inoltre, gli incidenti sul lavoro, che diminuiscono stabilmente fino ai 65 anni, si riducono ulteriormente da quell’età in poi.

  • Valorizzare le potenzialità dei lavoratori senior. Alcune esperienze, nel manifatturiero in particolare, confermano che nelle attività che richiedono precisione e attenzione ai dettagli, i lavoratori anziani hanno prestazioni superiori. Per esempio, nel Massachusetts la Vita Needle Company impiega in produzione lavoratori la cui età media è 74 anni (alcuni di loro sono ultra-novantenni) proprio per queste ragioni.
  • Offrire programmi di riqualificazione per lavoratori senior. Il fatto che i senior sappiano apprendere non significa che siano a conoscenza di tutto. In particolare in certi ambiti in rapidissima evoluzione, come quello tecnologico, servono continui aggiornamenti dai quali sarebbe un errore escludere i senior.
  • Mettere a punto formule di lavoro adatte alle esigenze dei senior. Per i lavoratori oltre i 65 anni la parola chiave è “flessibilità”, cioè poter scegliere tra lavoro full-time e part-time e per quest’ultimo tra orizzontale (un minor numero di ore al giorno) o verticale (per progetti, in modalità consulenziale o con ruoli temporanei). Promuovere il lavoro oltre la pensione non vuol dire che tutti debbano continuare a lavorare ai ritmi di prima.
  • Creare reti all’interno delle quali i senior possano ricoprire ruoli di trasmissione, di conoscenze e mentorship. Le persone senior possono facilitare l’apprendimento dei colleghi giovani e risolvere rapidamente dei problemi. Non è però necessariamente vero che siano in grado di auto-organizzarsi per trasmettere la propria conoscenza, né che sappiano come trasferire conoscenze implicite ad altri. Infine, potrebbero non essere motivati a farlo se si vedono in competizione con i giovani. Le organizzazioni hanno le capacità e l’interesse a supportarli.
    Il senior-boom è l’evoluzione, non l’opposto, del baby-boom e potrebbe portare altrettanti benefici alla società. Occorre però fare nostro il paradigma dello smart-aging e imparare a gestire una forza lavoro con un’età media più avanzata. Le organizzazioni sono chiamate a fare la loro parte.
Lezione Giapponese n°1 - Lo smart aging è un'opportunità per tutti.
Hiroyuki Murata

Il Professor Hiroyuki Murata, uno dei primi a parlare di smart-aging, studia l’invecchiamento da un punto di vista olistico, interdisciplinare e integrato, cioè coinvolgendo in uno sforzo collaborativo vari attori della comunità accademica al mondo industriale.
Il primo obiettivo dello smart-aging è mantenere l’autonomia degli anziani il più a lungo possibile. Come si fa a contrastare il decadimento delle funzioni cognitive negli anziani?
Servono un giusto tipo di stimolo cognitivo, la socializzazione, un po’ di esercizio fisico e attenzione alla dieta. Dal punto di vista delle capacità cognitive, lo stimolo deve interessare la corteccia prefrontale ed entrambi gli emisferi cerebrali. E’ efficace, per esempio, svolgere calcoli semplici velocemente (mentre calcoli difficili che richiedono più tempo non servono perché attivano una parte ridotta della corteccia prefrontale e non interessano l’emisfero destro). E’ utile anche scrivere a mano e leggere ad alta voce, ma non lo è guardare la televisione. Sapendo questo, si possono pensare per gli anziani attività socialmente utili ed efficaci per contrastare il declino, per esempio leggere ad alta voce ai bambini.
È un ottimo spunto per il volontariato. Ci fa però qualche esempio di attività lavorative retribuite adatte a ingaggiare i lavoratori ultra-anziani in Giappone?
Esistono alcune esperienze di successo. Si tratta di lavori che permettono di usare la mente e il corpo, che si possono svolgere in modo flessibile e con strumenti informatici adattati per facilitare l’utilizzo. Un caso pilota di successo, per quanto di nicchia, è quello del villaggio di Tokushima dove è stata avviata un’attività di raccolta, confezionamento e vendita di foglie per preparazioni alimentari destinate a ristoranti. L’attività, che nella fase di raccolta e confezionamento richiede pazienza e precisione per non danneggiare le foglie, è in crescita ed è svolta completamente da ultra-anziani.
Quali sono le opportunità di mercato legate all’aumento della popolazione anziana?
Anche nei mercati saturi e a bassa crescita esistono delle aree di bisogno ancora non soddisfatto per quanto riguarda la popolazione senior, basta andare a caccia di FUDI (Feelings of Uneasiness, Dissatisfaction or Inconvenience, cioè aree in cui i consumatori anziani provano disagio, insoddisfazione o scomodità). Se si riconosce che gli anziani sono un mercato da soddisfare, cioè che meritano di avere prodotti e servizi dedicati, questo apre opportunità di nuovi business. L’esempio classico è quello del telefono cellulare Raku-Raku che, adattato con alcuni semplici accorgimenti alle esigenze dei senior (display con caratteri più grandi, composizione del numero facilitata, ecc.) è diventato un best-seller. Un altro esempio sono le palestre di quartiere Curves, (senza sedi costose e di immagine, spesso in appartamenti) solo per donne senior, con esercizi studiati per loro. Le donne giapponesi hanno risposto benissimo a questa proposta perché non gradivano l’ambiente della palestra tradizionale e perché così riuscivano a socializzare tra loro.

Lezione Giapponese n°2 - Un talismano contro la perdita dell’indipendenza.
Yoshinori Fujiwara

Yoshinori Fujiwara, gerontologo e direttore del Tokyo Metropolitan Institute of Aging, ha studiato con la propria équipe gli effetti del lavoro retribuito sulla capacità di vivere indipendentemente di un gruppo di adulti ultra-sessantacinquenni giapponesi.

Dottor Fujiwara, ci racconta in sintesi cosa avete studiato?
Si è trattato di uno studio longitudinale (in cui i partecipanti vengono seguiti per un certo periodo di tempo) durato 8 anni. Lo studio ha riguardato circa mille persone in età compresa tra 65 e 84 anni, alcuni residenti in area urbana e altri in campagna, che all’inizio dello studio erano indipendenti nelle proprie attività quotidiane. Volevamo confrontare il declino di coloro che continuavano a svolgere un lavoro retribuito con quello di chi smetteva, per capire se il lavoro potesse avere un valore protettivo.
Cosa è emerso?
Nella popolazione maschile e, in parte, in quella femminile dell’area rurale, chi continua a lavorare, anche passando a impieghi part-time, mantiene più a lungo la propria indipendenza: nell’arco degli 8 anni dello studio, tra i partecipanti maschili residenti nell’area urbana, il 78,8% di quelli che hanno continuato a svolgere un lavoro retribuito è rimasto indipendente nelle proprie attività, mentre solo il 50% di coloro che hanno lasciato il lavoro sono riusciti a esserlo. Il differenziale è risultato solo di poco inferiore nell’area rurale.
Come interpreta questi risultati?
Avere un lavoro retribuito è il principale mezzo a disposizione di molti uomini giapponesi per restare inseriti nella società. Tenga presente che la struttura della famiglia è molto cambiata negli ultimi 50 anni: negli anni Sessanta, tipicamente tre generazioni convivevano sotto lo stesso tetto. Ora molti anziani vivono in coppia o da soli e, se non lavorano, tendono a isolarsi socialmente e a non svolgere attività fisiche o mentali per assenza di stimoli.
Perché nelle donne giapponesi non si osserva l’effetto protettivo che è emerso tra gli uomini?
Probabilmente a causa dei ruoli di genere nella società giapponese: le donne, pur non lavorando in modo retribuito sono di solito maggiormente attive, per esempio nei lavori domestici, e inserite nel sociale.
Avete svolto altri studi che aiutino a completare il quadro?
Sì, abbiamo analizzato l’effetto del lavoro volontario (almeno una volta alla settimana) e trovato che anch’esso ha un influsso positivo sul mantenimento dell’indipendenza, ma di portata inferiore rispetto al lavoro retribuito. Anche avere hobby e seguire corsi è utile, ma l’impatto è ulteriormente inferiore.
Qual è l’atteggiamento dei giapponesi nei confronti del lavoro oltre l’età pensionabile?
In Giappone, la motivazione principale per continuare a lavorare oltre l’età pensionabile (54% dei rispondenti) è il desiderio di integrare il reddito. Ma vi è un 35% che cita come motivazioni primarie il desiderio di evitare il decadimento fisico e cognitivo e di fare conoscenze nuove. Noti che altrove queste motivazioni extra-economiche sono meno sentite: negli USA sono solo il 21% e in Germania il 14% circa. In Giappone, forse anche per questo, non è impensabile dedicarsi ad attività manuali provenendo da professioni intellettuali o diventare lavoratori autonomi, per esempio autisti privati, dopo una vita da dipendenti.

Un altro processo all'utero in affitto
Marcello Palmieri (1 dicembre 2016)

La maternità surrogata chiesta da italiani all’estero è di nuovo sotto la lente di un tribunale. Quello di Bologna, stavolta, chiamato a pronunciarsi su cittadini che hanno aggirato il divieto italiano ‘assemblando’ un bimbo laddove la pratica è lecita, tornando poi in patria e facendolo registrare come loro figlio. Tre i profili giuridici del nuovo caso. Il primo scaturisce dalla posizione di un ginecologo italiano, che in patria avrebbe collaborato alla commissione del reato, punito dalla legge 40.

Fonti d’agenzia riferiscono che la sua posizione sarebbe stata archiviata in quanto «non sono emerse prove che abbia preso parte alla realizzazione della surrogazione ». Il secondo profilo riguarda invece sia il medico che la coppia, accusati di alterazione di stato di minore, reato di chi dichiara nell’atto di nascita una filiazione diversa da quella biologica. Anche quest’imputazione sembra però caduta. Il processo continua invece per il reato principale, e cioè la surrogazione di maternità così come punita dalla legge 40, terzo profilo della vicenda. I tribunale dovrà chiedersi se la pratica può essere perseguita anche se la clinica che vi ha dato corso ha sede all’estero e là il bimbo è nato.

Per la verità, un pubblico ministero ha già chiarito la questione: è Letizia Ruggeri, salita alla ribalta per la tenacia con cui ha condotto le indagini dell’omicidio di Yara Gambirasio, e ora impegnata in un procedimento di surrogazione presso il Tribunale di Bergamo. «Sicuramente la condotta è stata ideata in Italia e finalizzata alla registrazione dell’atto di nascita in Italia», ha spiegato commentando il suo caso, che poi in questo è identico a quello di Bologna.

Intanto, mentre i giudici s’interrogano su come applicare la legge 40, il Parlamento sta pensando di cambiarla. Porta come prima firma quella della senatrice Emilia Grazia De Biasi, presidente Pd della Commissione Sanità del Senato, il ddl che vorrebbe sostituire l’intera norma, un testo che sulla maternità surrogata abbatte ulteriori paletti prevedendo la non punibilità dei “genitori committenti” e imponendo la trascrizione del certificato di nascita ottenuto all’estero.

Lo stesso disegno di legge vorrebbe anche destinare alla ricerca gli embrioni inutilizzabili o abbandonati e aprire ulteriormente le maglie della selezione pre-impianto.

Elogio del ceffone
Pubblicato 29 dicembre 2016 | Da Fabrizio Cannone Libertà e Persona

Che la pedagogia classica e tradizionale abbia sempre ammesso e giustificato il ricorso alla correzione, alla punizione e alla disciplina, fondandola sull’autorità naturale del genitore (e del maestro), è cosa così risaputa e universale, da non dover neppur essere dimostrata.

Il cristianesimo, con il suo approccio più legato alla “grazia” che alla “legge” cambiò notevolmente anche quest’aspetto della società classica pagana: la “venuta di Gesù Cristo importò innovazioni salutari ed efficaci nel campo della pedagogia. L’idea di Dio come padre, la dignità dell’uomo elevato […] allo stato di figlio adottivo di Dio, il significato della vita che non è più soltanto umana […], l’interiorità che dà il vero valore alle azioni umane […] rinnovarono l’educazione nel suo spirito più profondo” (Così padre Celestino Testore, Pedagogia, in Enciclopedia Cattolica, 1952, vol. IX, col. 1056).

Ciò detto, mai e poi mai i pedagogisti cristiani, a volte di esimia santità (da Benedetto da Norcia a Nicolò Tommaseo, da Francesco di Sales al Rosmini, dal cardinal Lambruschini a don Bosco), rifiutarono in toto l’uso dei castighi e delle penitenze (anche corporali) per riparare il male fatto, per emendarsi dalla colpa e per riflettere sull’ordine violato.

Anzi nelle opere di costoro, si pensi alla Regola di san Benedetto (che parla esplicitamente di castighi fisici o morali nei capitoli 25, 28, 30, 43, 45, 71, etc.) o ai celebri Trattati sull’educazione, come quelli del cardinal Antoniano o del cardinal Mercier, un posto chiaro, seppur differenziato, occupa la concreta punizione del colpevole, figlio o allievo che sia.

La stessa Bibbia è colma del concetto di punizione del peccatore nell’ottica misericordiosa della sua salvezza e della sua conversione al bene (cfr. Gen 18,19; Es 21,15-16; Sir 4,11-19; Prv 1,8; 21,1; 13,1; Mt 10,37; Ef 6,1-4; 1 Pt 13).

Colui che fu più largo in tema di persuasione non violenta del giovane fu forse san Giovanni Bosco, modello universale dell’educatore cristiano, il quale col suo metodo preventivo desiderava prevenire la colpa del “giovane provveduto”, piuttosto che sanzionarla poi. Ma, come nota padre Testore, malgrado questa volontà di prevenire invece che curare, “si è ben lontani dal riconoscere, alla Rousseau la bontà originaria dell’uomo o dall’escludere a priori, alla Tolstoj, ogni punizione” (op. cit.).

Come se tutto questo non fosse ovvio e come se d’altra parte la perdita dell’autorità dei genitori, dal ’68 ad oggi, non fosse una delle cause della mancata educazione delle nuove generazioni, in Francia il 22 dicembre si è approvata una norma contro le “violenze corporali”, espressamente riferita ai ceffoni o alle sculacciate date ai propri rampolli.

La Croix, l’omologo dell’Avvenire in Francia, descrive con somma gioia questa nuova acquisizione normativa francese, a poche settimane dal divieto di ogni opposizione all’aborto, perfino sul web. Scrive il quotidiano dei vescovi transalpini: “Una buona risoluzione, ma anche un imperativo” per genitori ed educatori di ogni tipo. Secondo il presidente del Sindacato dei medici di Francia, citato dalla Croix, “L’educazione deve permettere al bambino di interiorizzare i limiti. Ma non può riposare su violenze o umiliazioni, fisiche o psicologiche. Ricorrere a castighi corporali, anche leggeri, significa far capire al bambino che egli può usare violenza per raggiungere i propri fini”.

L’inciso sui castighi “leggeri” fa capire chiaramente che si sta censurando, con una legge che prevede pene severe per i trasgressori, anche il tradizionale ceffone e un semplice schiaffo (o un buffetto sul capo), la cui carenza, negli ultimi anni, ha coinciso, al contrario, con una maleducazione crescente nei nostri adolescenti, ormai né puniti, né educati, né corretti da nessuno… Secondo il pedagogo Daniel Marcelli, “non esiste la sculacciata buona”, in quanto, “il bambino che è stato umiliato [con una sculacciata???] avrà la tendenza di umiliare a sua volta i più deboli”.

Il governo francese di François Hollande è al minimo storico e rappresenta, dal punto di vista etico, una delle peggiori esperienze politiche in Francia e in Europa, dal dopoguerra in qua. Arrivato al tramonto e senza alcuna speranza di vincere le presidenziali del 2017, i candidati di gran lunga in testa sono Marine Le Pen e François Fillon, ecco che spara i suoi ultimi rantoli prima di scomparire.

Oltre ad una insicurezza evidente nella società, e non solo a causa del terrorismo, e ad una crisi economica senza precedenti, lascia in eredità ai francesi di domani, una cultura nichilista a 360 gradi: dal matrimonio gay con adozione, alla censura dei siti internet contrari all’aborto, dalla pornografia di Stato alla imposizione della “religione” della laicità… Ora, l’ultimo mostro è arrivato in porto poco prima del Natale, e sarà effettivo dal 2017.

La volontà soggiacente è che i genitori non svolgano alcun ruolo nell’educazione dei figli, poiché qualunque punizione, in teoria, potrebbe essere considerata dal Sistema come una “violenza psicologica”. Lo Stato francese appare come un gigante dai piedi d’argilla, senz’anima e corrotto fin dalle fondamenta. La scuola pubblica è a livello zero, specie in materia di educazione, di rispetto e di civiltà. Bisognava quindi colpire l’ultimo bastione di resistenza al degrado: l’autorità dei genitori. E ora il quadro è completo.

Non c’è che dire… Un solo commento si impone: Vous êtes des misérables!

Il Papa ai ragazzi di Azione Cattolica: parlate con i nonni
All’udienza per gli auguri natalizi Francesco ricorda monsignor Mansueto Bianchi, l’assistente generale scomparso lo scorso tre agosto

Parlare con i nonni, ascoltare i nonni. E’ il «compito a casa» affidato dal Papa ai giovani dell’Azione cattolica italiana (Acr) ricevuti oggi in Vaticano per gli auguri natalizi. Francesco ha ricordato, a conclusione dell’udienza, monsignor Mansueto Bianchi, l’assistente generale dell’Azione cattolica scomparso lo scorso tre agosto.
«Annunciando a tutti l’amore e la tenerezza di Gesù, diventate apostoli della gioia del Vangelo. E la gioia è contagiosa», ha detto il Papa.

«Vorrei darvi un compito. Questa gioia contagiosa va condivisa con tutti, ma in modo speciale – e questo è il compito – con i nonni. Parlate spesso con i vostri nonni; anche loro hanno questa gioia contagiosa. Domandate a loro tante cose, ascoltateli, loro hanno la memoria della storia, l’esperienza della vita, e per voi questo sarà un grande dono che vi aiuterà nel vostro cammino. Anche loro hanno bisogno di ascoltarvi, anche i nonni hanno bisogno di voi, di capire le vostre aspirazioni, le vostre speranze. Ecco il compito: parlare con i nonni, ascoltare i nonni. Gli anziani hanno la sapienza della vita. Per non dimenticare, ripetiamo insieme»,

ha proseguito il Papa esortando i ragazzi a ripetere con lui «parlare con i nonni, ascoltare i nonni». Ma di fronte alla risposta un po’ flebile, Francesco ha commentato: «Che deboli che siete…». I ragazzi hanno allora ripetuto le due frasi a voce alta. «L’anno prossimo vi domanderò su questo, cosa avete fatto!», ha concluso il Papa.

Contagioso, ha proseguito Francesco, «è anche il vostro impegno per la pace. Anche quest’anno avete voluto legare la parola “pace” alla parola “solidarietà”, con un’iniziativa in favore dei vostri coetanei di un quartiere disagiato di Napoli. E’ un buon gesto, che indica lo stile con cui voi volete annunciare il volto di Dio che è amore. Il Signore benedica questo vostro progetto di bene!».

I giovani dell’Azione cattolica sono impegnati nel progetto Costruiamo la Pace, come ha spiegato un ragazzo introducendo l’udienza, che nasce da una collaborazione con la Cooperativa Sociale Il Tappeto di Iqbal, una realtà di “circo sociale” che da oltre dieci anni opera in strada nel quartiere Barra di Napoli per ricostruirne la bellezza e contrastarne le ferite.

«Voi ragazzi dell’Azione Cattolica siete aiutati dal vostro cammino formativo, che quest’anno ha come slogan “CIRCOndati di GIOIA”», ha sottolineato il Papa. «E’ suggestiva questa metafora del circo, che è un’esperienza di fraternità, di gioia e di vita “nomade”. L’immagine del circo può aiutarvi a sentire la comunità cristiana e il gruppo nel quale siete inseriti come delle realtà missionarie, che si muovono di paese in paese, di strada in strada “CIRCOndando” di gioia quanti incontrate ogni giorno».

A Natale, ha detto ancora il Papa, «risuonerà l’annuncio dell’angelo ai pastori: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”. La nascita di Gesù è annunciata come una “grande gioia”, originata dalla scoperta che Dio ci ama e, attraverso la nascita di Gesù, si è fatto vicino a noi per salvarci. Siamo amati da Dio. Che cosa meravigliosa! Quando siamo un po’ tristi, quando sembra che tutto vada storto, quando un amico o un’amica ci delude – o piuttosto noi deludiamo noi stessi! – pensiamo: “Dio mi ama”; “Dio non mi abbandona”. Sì, ragazzi, il nostro Padre ci è sempre fedele e non smette un istante di volerci bene, di seguire i nostri passi e anche di rincorrerci quando ci allontaniamo un po’. Per questo nel cuore del cristiano c’è sempre la gioia. E questa gioia si moltiplica condividendola. La gioia accolta come un dono chiede di essere testimoniata in tutte le nostre relazioni: in famiglia, a scuola, in parrocchia, dappertutto».

Il Papa ha concluso l’udienza ricordando il compito a casa («Parlare con i nonni, ascoltare i nonni») e facendo memoria di «un nonno, che se n’è andato, che il Signore ha chiamato a sé: don Mansueto al quale io volevo tanto bene, che lui dal cielo. Ci insegni a parlare con i nonni e ascoltare i nonni, aveva un nome bello, era un uomo buono». Monsignor Mansueto Bianchi, assistente generale dell’Azione cattolica dall’aprile del 2014, è morto per un male incurabile lo scorso tre agosto.

Un'insensata violenza e la lezione più difficile
Ferdinando Camon (Avvenire del 2 dicembre 2016)

Un professore di scuola media a Palermo è stato picchiato dai genitori di un suo alunno, perché l’alunno disturbava in classe e lui, dopo averlo invitato a smettere, lo aveva mandato fuori dall’aula. Accadde mercoledì scorso. Il professore, che era solito distribuire agli scolari delle caramelle, ne diede una anche all’alunno appena rientrato. Il quale però la rifiutò, anzi reagì con un gestaccio. Tutto pareva finito lì.
Ma non era così. Due giorni dopo l’insegnante, mentre posteggia nel cortile della scuola, si sente chiamare ad alta voce, si volta e vede quattro adulti: tra essi padre e madre del ragazzo che lui aveva punito. Cominciano subito a picchiarlo. Lui pensa che usassero anche corpi contundenti. Ha sporto denuncia.
Sul rapporto studenti-professori genitori ha parlato saggiamente su questo giornale il direttore, nella rubrica delle Lettere. A rendere difficile quel rapporto interviene il fatto che i genitori si schierano spesso con i figli. Allora la famiglia diventa nemica della scuola, e questo non dovrebbe mai succedere. La scuola è un'”altra famiglia”, i professori sono “altri genitori”, che portano più avanti e completano l’educazione dei figli. I genitori devono sentire che l’educazione che i figli ricevono a scuola integra e migliora l’educazione che loro danno a casa. L’istruzione dei figli è il miglioramento dei figli, il loro futuro. Le famiglie che osteggiano i professori osteggiano il futuro dei loro figli.
Facciamo un altro passo: i figli che vengono da famiglie non collaborative con la scuola o nemiche della scuola, vanno male a scuola, imparano meno. Di solito sono famiglie di scarsa cultura, che sentono come un male, o non sentono come un bene, il fatto che il figlio impari qualcosa che loro non sanno. Temono che, se il figlio impara di più, obbedirà di meno. A questo punto noi siamo portati a dire: “Sono famiglie di padri padroni”. Sì, probabile che i genitori di questo ragazzo, che han fatto la spedizione punitiva contro il professore, siano dei padri padroni, e che il figlio senta il suo legame con loro come più forte di quello con i professori, e che da loro si senta approvato (perché lui li approva) e protetto, anche con le maniere forti. Quando il professore ha redarguito questo ragazzo e il suo compagno, perché parlavano durante la lezione, il ragazzo avrà subito pensato che i suoi genitori lo avrebbero vendicato. Quando è stato espulso dalla classe, ricevendo una lezione di fronte a tutti i compagni, avrà subito pensato che i suoi genitori avrebbero inflitto al professore una lezione ben più pesante di fronte agli stessi compagni. Allora qui il professore non ha il problema di un ragazzo che non vuole imparare, ma di una famiglia che non vuole che lui impari.
Non sappiamo molto di più su questa famiglia, e quel che diciamo adesso può darsi che non valga per essa, ma per altre famiglie con gli stessi problemi: le famiglie che non sono ben disposte verso la scuola non sono ben disposte verso la società e verso lo Stato. Hanno verso la società una forma di rifiuto. Se posso permettermi un altro passo, ma so che è il più difficile da ammettere (tranne che da don Milani), questo rifiuto che certe frange sociali mostrano verso lo Stato è la restituzione di un rifiuto che loro sentono o credono di aver sempre patito da parte dello Stato.
Poiché nella scuola, in qualsiasi scuola di qualsiasi parte d’Italia o del mondo, non si deve mai interrompere il rapporto fra studenti e insegnanti, allora qui si tratta di ricucirlo con questo ragazzo di Palermo. Operazione delicata, ma non impossibile.
Presuppone l’invenzione di una nuova relazione, e in questa invenzione sta la qualità dell’insegnante. Ma purtroppo si tratta di ricucire anche con la sua famiglia, e qui le cose son più difficili.

Gli ideologi del diritto d’aborto censurare la tenerezza?
Francesco Ognibene (Avvenire del 1 dicembre 2016)

Si legge « délit d’entrave numérique », tradotto suona «reato di ostacolo digitale». E se quella da domani all’esame dell’Assemblea nazionale francese è una nuova fattispecie penale enigmatica già nel nome, la vicenda assume contorni surreali se si considera il suo oggetto: l’aborto.

Per quanto incredibile possa sembrare, il Parlamento di Parigi sta infatti per prendere in seria considerazione – e probabilmente approvare, almeno in prima lettura – un disegno di legge proposto dal governo socialista per reprimere l’attività dei siti Internet che offrono ascolto e consulenza a donne alle prese con una gravidanza imprevista o indesiderata. In parole forse sbrigative ma realistiche, d’ora in avanti chi si offre di ascoltare per offrire consigli in un momento drammatico della vita altrui rischia di vedersi sequestrati i computer, se non di finire in carcere. Nel mirino di un potere che pare aver paura della libertà di coscienza fino a farla diventare un’ossessione sono entrati gli spazi fioriti su Internet in Francia per ovviare alla cancellazione, esattamente un anno fa e sempre a colpi di maggioranza, della settimana obbligatoria di riflessione che le donne dovevano prendersi per legge prima di scegliere se abortire o tenersi il bambino. Una decisione che a pochi giorni dalla strage del Bataclan passò quasi inosservata, dentro la più ampia riforma della ‘legge sulla Sanità’, ma che segnò una nuova sterzata nel modo in cui una plumbea ideologia considera l’aborto (e non solo) facendolo transitare dalla categoria delle ‘decisioni’ drammatiche sulla vita umana a quella astratta dei ‘diritti’ incoercibili. E se interrompere una gravidanza è questo che diventa, allora anche la parentesi di sette giorni per dare spazio e ascolto alla coscienza, informarsi e chiedere consiglio si trasforma in un temibile intralcio.

Figuriamoci a chi la pensa così come può apparire l’attività di siti web che offrono numeri verdi e consulenze gratuite a quante devono fronteggiare l’angoscia di un dubbio avvertendo con chiarezza istintiva che, assai prima di essere un diritto come dice il governo, l’aborto è destinato a spegnere la vita che si sente pulsare dentro di sé. La mente e il cuore non si zittiscono solo perché c’è chi dice che nessuno può intromettersi nella libera scelta di una donna sul proprio corpo, e lo fa scolpire in una legge dello Stato. Commettono dunque reato di ‘ostacolo interiore’ cuore e mente ponendo domande lancinanti ed esigendo che la risoluzione finale sia l’esito di una riflessione consapevole?

Offrire una presenza discreta e comprensiva accanto a questo sgomento diventa un gesto meritevole di censura e sanzione da parte dello Stato perché – recita la proposta di legge che sarà sottoposta domani ai deputati – può «indurre deliberatamente in errore » una donna smarrita mostrandole che sta diventando madre e che quello è suo figlio. Sostenere e consigliare viene catalogato come «intimidire e/o esercitare pressioni psicologiche o morali al fine di dissuadere dal ricorrere all’Ivg» (esecrabile delitto, evidentemente). A conferma del fatto che per farsi largo la ‘cultura dei diritti individuali’ deve prima eliminare la realtà e la sua percezione per sostituirla con il suo opposto, secondo un collaudato meccanismo orwelliano di alterazione del senso comune. Se è questa la strada che intende percorrere il partito di Hollande per evitare di veder salire la primavera prossima all’Eliseo il neogaullista Fillon, appare chiaro il motivo del consenso mai così basso al presidente socialista e del crescente favore verso chi torna a dar voce a valori disprezzati fino al punto di inserirli nel Codice penale.

È del tutto comprensibile che a quanti procedono senza mostrare dubbi verso una legge liberticida (e nell’attesa di udire qualche voce levarsi anche in Italia contro questa brutale ‘censura online’) risultano certamente inascoltabili voci come quella della giovane anonima che martedì su www.ivg.net ha lasciato il diario di un ‘aborto abortito’: «Gli esami iniziano, sento questo piccolo cuore battere, il mio ragazzo è triste quanto me, e chiede di poter uscire. Riempio i moduli per l’Ivg da sola, con le lacrime che salgono, la paura, mi dico che ucciderò il mio bambino. Il mio ragazzo torna, prende le carte e mi supplica di non abortire, mi dice che sarà sempre con me e che prenderà questo bambino così come me. Ora sono la mamma felice di un bimbo di 10 mesi, ancora con il mio ragazzo, e voglio dire alle mamme che considerano una Ivg di pensarci bene, perché abortire è molto difficile. Mio figlio ha saputo intenerirci». Fermiamoci, tutti, a considerare con molta attenzione il profilo di quel potere che arriva a spegnere la tenerezza, avendone paura.