Il pensiero dominante e l’assenza di una cultura cattolica vitale
Un contributo del socio Maurizio Redaelli
“Rincorrere” il pensiero dominante è sempre perdente
Se si vuole contrastare il pensiero che è dominante nella nostra epoca, quello che normalmente chiamiamo in modo un po’ approssimativo “pensiero unico”, la prima condizione necessaria è uscire dal circolo vizioso che nasce dal limitarsi a reagire ogni volta alle sue forzature, che mirano a creare un nuovo umanesimo sempre meno umano e sempre più disumanizzante.
Un’affermazione così netta può sembrare eccessiva, ma risulta immediatamente comprensibile se solo si riflette su un fatto: se ci limitiamo, volta per volta, a reagire alle pretese del pensiero relativista, inevitabilmente ci facciamo dettare temi e tempi della discussione proprio da quella visione dell’uomo che vogliamo contrastare e, soprattutto, ci facciamo rinchiudere nel recinto concettuale di chi è “contro”. Questo è grave, perché sul “contro” non si costruisce nulla: il limitarsi a dire cosa “non” vogliamo – oltre ad essere sempre perdente in termini di credibilità della comunicazione – non offre una reale alternativa positiva alla deriva che vogliamo contrastare.
Se guardiamo alle battaglie ideologiche degli ultimi anni, ci rendiamo conto che è stata certo necessaria e doverosa la protesta contro la nuova antropologia “libertaria”; questa è figlia del mito illuministico dell’uomo “buono” per natura, che è capace, se agisce secondo ragione, di creare una società giusta con le sue sole forze, agendo sulle strutture, senza prendere in considerazione il limite dell’uomo. Si procede come se il male fosse una sorta di fenomeno inevitabile e non la conseguenza delle scelte umane, di una libertà che con ogni evidenza non è in grado di “risanarsi” da sola, che si creda o non al peccato originale.
Il problema sta appunto nel fatto che questa protesta ha finito, troppo spesso, per “rincorrere” le iniziative altrui in una prospettiva di pura “difesa”. Così diventa pressoché inevitabile che essa dia l’impressione, peraltro non sempre totalmente infondata, di essere frutto di un conservatorismo “di retroguardia”, privo appunto di proposte alternative positive e credibili. Accade spesso perciò che la protesta finisca per dare sempre più visibilità e a volte perfino più “credibilità” a ciò che vorremmo contrastare… da qui il circolo vizioso di cui si parlava poco sopra.
La seconda condizione perché possiamo realmente contrastare il pensiero dominante è anche la più impegnativa: occorre creare una cultura nuova, che sia una vera e concreta alternativa alla disumanizzazione a cui stiamo assistendo; stiamo parlando di una cultura che è elaborazione di un’esperienza cristiana consapevolmente vissuta, ma anche radicata nella Tradizione della Chiesa e nella sua storia culturale, troppo spesso sconosciuta o sottovalutata, anche nel mondo cattolico.
Stiamo ponendo una condizione impegnativa, certo, ma assolutamente necessaria, ineludibile: senza “radici” culturali e teologiche adeguate mancano i presupposti e gli strumenti perché sia possibile confrontarsi, partendo da un’identità propria precisa e “difendibile”, con una società sempre più scristianizzata – il secolarismo è già stato ampiamente superato – nella quale è necessario rifondare quasi tutti i valori che, fino a qualche decennio fa, erano patrimonio comune.
Questo è più facile a dirsi che a farsi, perché purtroppo la Chiesa – e con questo intendo non solo la gerarchia, ma anche i fedeli e soprattutto gli intellettuali – dal Concilio di Trento fino al Concilio Vaticano II si è mossa, dal punto di vista culturale, quasi esclusivamente “in difesa”.
Spaventata dalla Riforma protestante, invece di accettare la sfida che questa imponeva in termini teologici e in genere culturali, si è chiusa in una dimensione quasi esclusivamente morale che, in carenza di una base teologica adeguata, facilmente è diventata moralistica.
Alla sfida, circa due secoli dopo, dell’Illuminismo col suo mito dell’uomo “buono per natura” la Chiesa ha risposto ancora dicendo il suo “no”, più che motivato ma bisognoso anche di una risposta in positivo; la stessa cosa è accaduta col positivismo, col modernismo, col relativismo.
Vi sono state delle eccezioni, certo: la più luminosa è rappresentata da Papa Leone XIII, che diede inizio all’immensa edizione critica dell’intera opera di Tommaso d’Aquino (la “Editio Leonina”, lavoro che è ancora in corso dopo 145 anni); è lo stesso Papa che diede inizio alla Dottrina Sociale della Chiesa e al confronto franco e coraggioso col mondo moderno, con l’enciclica “Rerum novarum”. Con lui vi sono altre eccezioni, poche, isolate e splendide, troppo spesso malviste – persino dalla gerarchia – e comunque rapidamente messe da parte.
La Chiesa si è mostrata in questo modo troppo spesso incapace di proporre in modo comprensibile e culturalmente adeguato la Novità dell’Evangelo, non cogliendo i “segni dei tempi.”1
Il Concilio Vaticano II ha dato, grazie a Giovanni XXIII e Paolo VI, una decisa sterzata, ponendo le basi per una rinascita della cultura cattolica; purtroppo il Concilio è stato e continua ad essere poco conosciuto e ben poco applicato, anzi è stato ed è tuttora strumentalizzato secondo logiche che gli sono totalmente estranee, sia che lo si rifiuti senza comprenderlo, sia che lo si stravolga in un’ottica “progressista”, che non è altro che un adeguarsi alla mentalità di moda.
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, proprio a partire dal Concilio, hanno dato un impulso molto forte alla cultura cattolica, cercando in tutti modi, con gli scritti e con la personale testimonianza, di darle nuova vitalità. Eppure, anche all’interno del clero, raramente si sentono oggi citare i contenuti specifici del loro pensiero, al di là del rituale e formale ossequio.
Perfino all’interno del mondo accademico cattolico assistiamo spesso a questa “paura” del confronto, quasi una sorta di “impotenza intellettuale”, che, utilizzando come alibi il timore di “offendere” l’interlocutore, ha finito per mettere da parte i pochi che invece, con grande talento e professionalità, hanno lavorato in modo brillante sul piano culturale: quanti intellettuali cattolici conoscono o hanno anche solo sentito nominare, ad esempio, Gustavo Bontadini o Augusto Del Noce?
Non è questo il luogo in cui entrare nei dettagli, ma che la Chiesa – intesa come dicevo sopra – abbia troppo spesso “snobbato” nelle sue università lo studio della metafisica – centro e origine di ogni filosofia e necessaria ad ogni teologo degno di questo nome, come scrisse più volte Ratzinger – ha certo “aiutato”, senza rendersene conto, il relativismo e il pensiero “unico” che ne è figlio legittimo.
Da questa “debolezza” del pensiero cattolico nelle sue basi filosofiche è nata, non solo a mio parere, la grande confusione, che la teologia ha vissuto e sta vivendo. Solo per fare un esempio, le vicende della Conferenza episcopale tedesca con le sue proposte “progressiste”, che minano alla base la concezione stessa della Chiesa come si è costituita già all’epoca dei Padri, si innestano anche in questa debolezza delle basi filosofiche. Già Tommaso d’Aquino notava che le divergenze teologiche derivano dalle diverse filosofie di riferimento, e che perciò è il buon filosofo che fa il buon teologo e non viceversa.2
Solo come accenno per far capire l’importanza di una “difesa positiva” del cristianesimo a livello culturale, pensiamo all’Apologetica dei primi secoli.
I grandi apologisti, a cominciare da San Giustino, filosofo greco convertitosi in età adulta, non si sono limitati ad essere “contro” la cultura pagana, ma l’hanno studiata, l’hanno approfondita, l’hanno riletta da una prospettiva nuova, creando la prima cultura propriamente cristiana.
“Così negli apologisti è presente una duplice sollecitudine: quella, più propriamente apologetica, di difendere il cristianesimo nascente (ἀπολογία – apologhía in greco significa appunto «difesa») e quella propositiva, «missionaria», di esporre i contenuti della fede in un linguaggio e con categorie di pensiero comprensibili ai contemporanei.”3
Esemplare in questo senso la posizione di Sant’Agostino, che si domandava perché mai i pagani sapessero difendere le loro falsità in modo convincente, mentre i cristiani non erano in grado di essere convincenti dicendo la verità.4 In questo il Vescovo di Ippona seguiva la richiesta di Pietro: “Siate sempre pronti a dare soddisfazione a chi vi chiede ragione della speranza e della fede che è in voi.”5
Il capofila di chi pensava che studiare la cultura profana fosse inutile – perché nel Vangelo c’era già tutto quello che era necessario – era Tertulliano… che non a caso è un eretico.
Cultura e politica in Italia
Questa sorta di “vizio di fondo” del mondo cattolico contemporaneo ha segnato profondamente la società italiana: si dice, non certo a torto, che la cultura di sinistra ha “colonizzato” la scuola, le università e il mondo degli intellettuali, ma si tace troppo spesso sui motivi di questo predominio incontrastato.
Anzitutto va detto che anche nel mondo culturale accade quello che accade in natura: gli spazi lasciati vuoti nell’ecosistema vengono sempre riempiti; se il mondo cattolico non si interessa in modo organico della cultura, qualcun altro occupa quegli spazi.
Inutile cadere nel vittimismo, come se la progressiva marginalizzazione del pensiero cattolico fosse semplice frutto di un complotto o fenomeno inevitabile, come fosse una catastrofe naturale.
Proviamo a fare una riflessione… Per quanti anni la Democrazia Cristiana ha occupato il Ministero della Pubblica Istruzione? Decenni su decenni; ma in quegli anni la “colonizzazione” della scuola da parte del pensiero non cattolico è cresciuta in modo esponenziale. Non solo: in quei decenni non è mai stato fatto nulla per sostenere la libertà di educazione, nella scuola paritaria; l’unico che, a livello nazionale, se ne è occupato era un socialista, cioè Martelli.
Il paradosso è solo apparente: il problema sta nel fatto che i politici scelti per quel ministero non sono mai stati uomini di punta del partito, né a livello politico, né tanto meno a livello culturale; questo perché ciò che “contava” era il potere economico e politico e la cultura era una sorta di “lusso” per pochi appassionati: ancora nella cosiddetta Seconda Repubblica abbiamo avuto un Ministro dell’Economia, non certo di sinistra, che affermava pubblicamente che “con la cultura non si mangia”.
Tornando alle caratteristiche del pensiero politico dominante, va detto che la sua matrice è sostanzialmente liberale.6
È quindi il caso di ricordare che il liberalismo nasce sotto il segno di un forte anticlericalismo, in particolare anticattolico, e si fonda sul mito illuminista dell’uomo “che non ha bisogno di nulla”, che è “naturalmente buono”, se agisce secondo ragione; la sua etica si caratterizza per l’individualismo e l’utilitarismo, secondo la massima di Voltaire: “la virtù e il vizio, il bene e il male morale sono in ogni paese quel che è utile o nocivo alla società”.
Se proviamo a declinare questa logica nel presente, vediamo che l’eutanasia o il suicidio assistito – suprema libertà per alcuni, anche nel centro e a destra – non sono certo in conflitto con i presupposti etici originariamente liberali.
Certamente va ricordato che il liberalismo predica la “tolleranza”, ma si tratta di un concetto che nulla ha a che vedere col dialogo, che sta alla base di una sana democrazia: la prima prevede e richiede che ciascuno creda a quello che preferisce, purché non chieda di uscire dal suo “privato” – personale, familiare o di gruppo – e non pretenda una presenza pubblica, che può dar fastidio a qualcuno; il secondo invece richiede il confronto fra identità forti, non cerca compromessi al ribasso, ma chiede solo onestà intellettuale e rispetto per l’altro.
Per quanto riguarda poi i vari “sovranismi”, più o meno rozzi, basta qui ricordare come fosse chiaro a Giovanni Paolo II che i nazionalismi sono molto lontani del patriottismo: “Caratteristica del nazionalismo, infatti, è di riconoscere e perseguire soltanto il bene della propria nazione, senza tener conto dei diritti delle altre. Il patriottismo, invece, in quanto amore per la patria, riconosce a tutte le altre nazioni diritti uguali a quelli rivendicati per la propria ed è perciò la via per un ordinato amore sociale.”7
Cosa hanno in comune le posizioni politiche “non progressiste” o conservatrici con il pensiero cattolico e la Dottrina Sociale – altra grande sconosciuta – della Chiesa?
Se andiamo oltre le affermazioni generiche della “tutela dei valori tradizionali” – comuni oggi anche alle autocrazie come la Russia di Putin – ben poco.
Infatti, anche andando al di là delle posizioni strumentali con scopi elettoralistici, alla base della politica conservatrice, non solo italiana – che sia di destra-destra o di destra-centro o di centro-destra – sta la confusione tra valori cattolici e valori borghesi. Tanto per fare un esempio banale ma chiaro, “chi non lavora non mangia” è un valore borghese, non certo un valore cattolico…
Cultura cattolica, cultura di destra e cultura di sinistra
Anche se non è questo il luogo per una analisi che vada oltre gli accenni, da approfondire se mai personalmente, è opportuno ricordare che i cattolici non hanno nessun motivo di appoggiarsi ad una cultura di destra, invece di muoversi nella loro tradizione culturale originale; non dobbiamo avere nessun complesso d’inferiorità, né nei confronti della destra, né della sinistra.
Tanto per cominciare, le radici della cultura a cui si richiama l’estrema destra, non solo in Italia, sono qualitativamente ben poca cosa: pochi sono gli esponenti di spicco e di quei pochi ancora meno sono meritevoli di poco più di una citazione sui manuali universitari, quale che sia la matrice culturale di questi manuali.
Per quanto riguarda poi la cultura liberal-conservatrice, la situazione non cambia granché: lo stesso Croce è molto sopravvalutato in Italia, in particolare proprio per quanto riguarda il rapporto fra etica e politica. È certo il pensatore del “non possiamo non dirci cristiani”, ma questa affermazione è la semplice presa d’atto di una realtà storica, che però riguarda il passato, un passato ormai superato ai suoi occhi; soprattutto, questa formale “appartenenza” non tocca minimamente la sua etica e la sua immagine di società, che resta quella classica liberale.
Se poi veniamo a questioni più importanti, se entriamo nel merito del problema, va ricordato che c’è appunto una forte contrapposizione fra l’immagine di società – e di cittadino – della dottrina cattolica e quella che sottende alla dottrina politica del liberalismo, comune anche al resto del mondo conservatore: per un vero e onesto liberale questo è “il migliore dei mondi possibili”… basta che si lasci libero l’uomo, a livello economico, politico, culturale, perché tutto vada per il meglio… i problemi si risolvono da soli: si tratta del mito illuminista cui abbiamo già accennato.
La conseguenza inevitabile – a volte apertamente affermata – è che se qualcuno non ha successo è colpa sua: l’etica calvinista (Dio premia chi se lo merita) ha fondato e continua a sottendere il mondo economico e politico liberale.
Hanno la medesima radice – il liberalismo e l’etica calvinista – anche l’individualismo sfrenato, la società dell’apparenza, il culto del successo, il disprezzo per chi non produce e, peggio ancora, non consuma. Non a caso il “politically correct” e la cultura “woke” sono nati negli Stati Uniti, il Paese più liberale e più oggettivamente calvinista del mondo.
Il pensiero di sinistra poi, tanto per cominciare, è oggi un po’ ovunque in totale confusione mentale. La “bandiera” della sinistra attuale, in Italia ma non solo, è la cosiddetta “politica dei diritti” – dove si confonde sistematicamente il desiderio con un diritto – che è chiaramente una derivazione diretta della cultura relativista statunitense: vedere esponenti di punta della “sinistra” che esaltano come esempio di grande progressismo i temi centrali della cultura “woke”, nata dal liberalismo estremo americano, pone la domanda di cosa significhi essere di sinistra oggi, come in effetti fanno i pochi intellettuali di sinistra “pensanti” che sono rimasti.
In secondo luogo si può dire che la sinistra “storica” – non quella di oggi, ma quella seria, socialista o marxista che fosse – aveva centrato la diagnosi del problema (il mondo è ingiusto, bisogna fare qualcosa per cambiarlo), ma ha tragicamente sbagliato la terapia: il mondo ideale senza classi dell’utopia comunista si è tradotto in settant’anni di repressione, inefficienza, dittatura di un Partito che è quasi riuscito a disumanizzare totalmente i suoi cittadini/sudditi e i cui danni sono ancora pesantemente visibili nella società russa attuale.
Giovanni Paolo II, il cui anticomunismo non è certo in discussione, aveva esattamente questo giudizio: il liberalismo non riconosce il male nel mondo, il marxismo per liberarlo da quel male distrugge l’uomo.
Che fare allora?
Arrivati a questo punto occorre evitare come la peste il rischio di affermare sconsolati che “mala tempora currunt” e rinchiudersi nelle sacrestie, nelle case o nei gruppetti di “chi la pensa come noi”. Una via d’uscita c’è: proporre il giudizio cristiano e l’esperienza ecclesiale senza paura, senza soggezione, ma anche senza chiusure pregiudiziali. Il dialogo può essere difficile, ma è necessario, se non diventa un compromesso al ribasso, se si è disposti a prendere in considerazione le esperienze e la storia altrui, senza per questo annacquare la proposta… perché altrimenti faremmo torto a noi e agli altri.
Tutto questo è però possibile solo se si vive il cristianesimo in modo comunitario, non solo perché ci si aiuta, non solo perché una testimonianza di comunità in un mondo di individui isolati è dirompente, ma perché questa è la caratteristica della Chiesa degli inizi, perché questa è la via che il Cristo ha indicato.
A noi tocca seminare… i frutti verranno quando e come vorrà lo Spirito, che soffia dove vuole e come vuole.
1 Espressione usata per la prima volta da Giovanni XXIII nella Bolla Humanae salutis, con cui convocava il Concilio Ecumenico.
2 “…in hoc diversificati sunt, secundum quod diversorum philosophorum sectatores fuerunt…” (in F. Van Steenberghen
– La filosofia nel XIII secolo – Vita e Pensiero 1972 – pag. 313).
3 Benedetto XVI – San Giustino – Udienza Generale – 21 marzo 2007.
4 Agostino – De doctrina christiana – IV, 1-2.
5 “Beatus Petrus apostolus, qui promissionem accepit a Domino ut super eius confessione fundaretur Ecclesia, […]
fideles Christi alloquitur dicens: […] parati semper ad satisfactionem omni poscenti vos rationem de ea quae in vobis
est spe et fide.” (Tommaso d’Aquino – De rationibus Fidei – cap. 1 – incipit).
6 Come vedremo più avanti, perfino la sinistra oggi si rifà al pensiero liberale.
7 Karol Woytila – Memoria e identità – Rizzoli 2005 – pagg. 83-86.