Genesi del fenomeno
- Negli anni Cinquanta si è imposta la posizione «costruttivista», ritenendo che il femminile non corrispondesse a qualità ontologiche, bensì a logiche storico-sociali tanto di subordinazione, quanto di produzione dell’identità sessuale e di genere. Questa nuova visione si rifaceva a Simone de Beauvoir che, nel Secondo Sesso, affermava: la donna, costretta nel suo ruolo dalla società patriarcale, «è stata e continua a essere complice dell’uomo nella “condizione” di inferiorità in cui l’uomo l’ha collocata, rendendola suo “Altro costitutivo”», ossia funzionale al sistema maschilista. Ciò nonostante, la donna ha una predisposizione alla libertà radicale e universale, comune a ogni essere umano, sicché non potrà esserci una dedizione femminile all’altro se non come frutto consapevole di una scelta e di un’autodeterminazione radicale. Per dirla con le sue ormai celebri parole: «Donna non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico, definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo».
- All’inizio degli anni ’70 l’eredità di Simone de Beauvoir è stata raccolta dal femminismo radicale statunitense — soprattutto di matrice lesbica —, con l’intento di emancipare la sessualità dai ruoli in cui la società patriarcale l’aveva collocata e riscattarla così secondo queste parole di Adrienne Rich, sostenitrice della politics location (politica del situarsi): «Siamo le stesse nella nostra corporalità femminile, ma il corpo non è pura natura (sex), bensì specialmente cultura, cioè punto di intersezione tra il biologico, il sociale, il simbolico (gender)».
La teoria del gender, quindi, è nata funzionale a tale movimento: se non c’è differenza sessuale, se non ci sono diversità fra gli esseri umani e tutti sono uguali, non ci sono ragioni per negare alle donne l’emancipazione. In pratica, invece di chiedere uguali diritti nella diversità si è voluto negare la diversità per fondare l’uguaglianza dei diritti. Dopo le donne, sono venuti gli omosessuali, che avevano il problema di una identità non valorizzata dalla società da cui liberarsi. E, attraverso il gender, ci sono riusciti.
La teoria gender può anche essere considerata come una ennesima versione delle utopie egualitarie che da oltre due secoli percorrono il panorama ideologico dell’occidente (uguaglianza di classi, di valori, di fedi religiose, di razze etc). Tutte queste ideologie non vedono che la differenza, di per sé, non si oppone all’eguaglianza, ma all’appiattimento, alla uniformità indistinta e all’identità forzata. Ma, negando la differenza sessuale, la teoria del gender, anche se si presenta solo come un allargamento delle identità sessuali ai fini di aumentare le possibilità di scelta individuale, trasforma in modo definitivo la cultura occidentale, cambiando completamente i tre nodi fondamentali di qualsiasi sistema antropologico: 1) l’idea di natura e di identità naturale, 2) il concetto di famiglia, 3) la procreazione.
La teoria gender nel contesto della rivoluzione culturale degli ultimi 25 anni
La “teoria gender” è solo uno dei tanti elementi che caratterizzano la “nuova etica globale” che ha invaso il mondo a partire dagli anni ’90, che è il frutto di una vera e propria “rivoluzione culturale” (che è avvenuta silenziosamente e non è stata percepita da nessuno). Queste le caratteristiche principali:
Un nuovo linguaggio
Esempi: globalizzazione umanizzante, cittadinanza globale, sviluppo sostenibile, buona governanza (governance), etica mondiale, diversità culturale, libertà culturale, dialogo fra civiltà, qualità della vita, educazione per tutti, educazione di qualità, educazione fra “pari”, educazione alla pace, scelta informata, consenso informato, “gender”, pari opportunità, principio di equità, emancipazione (delle donne, dei bambini), empowerment, omoparentalità, omofobia, orientamento sessuale, stili di vita, integrità corporea, aborto “senza rischi”, accesso ai diritti, diritto alla scelta, diritti sessuali e riproduttivi, diritti delle donne, diritti dei bambini, diritti delle generazioni future, organizzazioni non-governative (ONG), società civile, partenariati, trasparenza, partecipazione della base, democrazia partecipativa, reti transnazionali, olismo, costruzione di consenso, facilitazione, approccio inclusivo, campagne di sensibilizzazione, chiarificazione dei valori, agenti di trasformazione sociale, parlamento dei giovani, responsabilità sociale delle imprese, commercio equo, sicurezza umana, principio di precauzione, prevenzione…
Il nuovo linguaggio globale tende ad escludere esplicitamente termini appartenenti alla tradizione giudaico-cristiana, quali:
verità, morale, coscienza, ragione, cuore, volontà, genitori, sposo, marito, moglie, madre, padre, figlio, figlia, verginità, castità, complementarietà, servizio, autorità, gerarchia, giustizia, legge, comandamento, dogma, fede, carità, speranza, sofferenza, peccato, amico, nemico, natura, rappresentanza democratica…
Da semplici concetti a “parad igmi globali” normativi
I nuovi concetti si sono trasformati in paradigmi globali che segnano il passaggio della civiltà occidentale dalla modernità alla postmodernità, vale a dire:
dallo sviluppo come crescita allo sviluppo sostenibile; dal governo alla governanza; dalla democrazia rappresentativa alla democrazia partecipativa; dall’autorità all’autonomia e ai diritti dell’individuo; dalle gerarchie all’uguaglianza; dagli sposi ai partners; dalla felicità alla qualità della vita; dal dato al costruito; dalla famiglia alla famiglia sotto tutte le sue forme; dai genitori ai riproduttori; dalla conoscenza alle competenze; dalla crescita all’equilibrio; dalla vita umana alla vita sotto tutte le sue forme; dai bisogni materiali oggettivi e misurabili all’approccio arbitrario dei diritti; dalla carità ai diritti; dalla sofferenza con dignità al diritto di morire; dall’identità culturale alla diversità culturale; dalla sicurezza internazionale alla sicurezza umana; dall’approccio settoriale all’approccio olistico; dal voto alla maggioranza al consenso; dal dogma alla libertà di interpretazione; dall’internazionale al globale; dai valori universali all’etica globale e via di seguito.
“Principi dinamici” che influenzano tutti i settori della vita
Le nuove norme hanno già portato a trasformazioni concrete e irreversibili in tutti i settori della vita sociale e politica: nuove leggi, radicali cambiamenti di mentalità e di stili di vita, codici di comportamento per le istituzioni e per le imprese, trasformazione dei contenuti dei manuali e dei curricula scolari, nuove norme e metodiche decisionali in politica, nelle cure sanitarie e nei sistemi educativi, nuove priorità strategiche per la cooperazione internazionale, un approccio radicalmente nuovo allo sviluppo, una trasformazione fondamentale dei principi e dei meccanismi della democrazia, un nuovo ethos sociale che va imponendosi a noi tutti.
Una cultura onnipresente
Le nuove norme imbevono la cultura delle organizzazioni internazionali, sopranazionali e locali, la cultura dei governi e dei ministeri, la cultura dei partiti politici (siano essi di sinistra o di destra) e delle autorità locali, la cultura delle imprese, la cultura dei sistemi educativi e sanitari, la cultura dei media, la cultura di innumerevoli reti di ONG e di governanza transnazionale. Allo stesso modo, il nuovo linguaggio è penetrato anche nelle grandi religioni – e anche un buon numero di ONG e organizzazioni caritative cristiane non hanno resistito alla sua attrazione, senza preoccuparsi sempre delle possibili conseguenze per la fede di un tale allineamento.
Nonostante l’apparenza (ingannevole), non è una cultura “neutra”!
Ovunque nel mondo, società e nazioni vivono ormai in un contesto culturale retto da valori quali la “sostenibilità”, il “consenso”, la “libera scelta”, l’“uguaglianza dei sessi”, la “diversità”, l’“olismo”, la “partecipazione della base” etc. Bene o male, se ne sia o meno coscienti, la cultura mondiale ci educa tutti. Il contenuto di questa cultura, esteriormente seducente, che tanto sembra corrispondere allo spirito del tempo, non è esplicito ed evidente, ma non è affatto neutro!
L’ambivalenza dei valori permette di promuovere (in modo nascosto) programmi radicali
L’ambivalenza non è, come troppo spesso si tende a credere, sinonimo di tolleranza e di scelta. L’ambivalenza costituisce un processo di decostruzione della realtà e della verità che porta all’esercizio arbitrario del potere e all’intolleranza – all’imposizione di programmi da parte di minoranze manipolatrici alle maggioranze incoscienti.
Un sistema unico che pretende di essere accettato integralmente
I nuovi concetti sono interattivi, interdipendenti, inseparabili. Si rinforzano mutuamente. Appartengono ad un sistema, ad un tutto nel quale tutto è in tutto. Esempio: la “buona governanza”, implica la “costruzione di consenso” e la “partecipazione della base” (cioè le ONG), che implicano lo “sviluppo sostenibile”, che, a sua volta, passa attraverso “l’uguaglianza dei sessi”, che a sua volta implica “l’accesso globale alla salute riproduttiva”, che a sua volta si fonda sul “diritto di scelta”, di cui l’aborto “senza rischi” è la condizione primaria.
Una tirannia non (ancora) giuridica ma culturale
Nell’insieme, le nuove norme non sono ancora ufficialmente entrate nel diritto internazionale e ancora non vincolano giuridicamente i vari stati. Ma la nuova tirannia viene esercitata in altro modo. Non sono solamente né primariamente gli stati che vi sono “legati”, quanto, prima di tutto, le mentalità e i comportamenti all’interno delle culture del mondo intero.
Tutti hanno aderito alla nuova etica!
La nuova etica, in pratica, già governa le nazioni del mondo. Tutti gli attori sociali e politici influenti, ovunque nel mondo, non solamente non hanno opposto resistenza, bensì hanno internalizzato e si sono appropriati dei nuovi paradigmi. L’allineamento è stato generalizzato.
Una rivoluzione “silenziosa”
La rivoluzione culturale mondiale è passata largamente inosservata. Non si è nemmeno verificato, in nessun paese del mondo, un dibattito democratico aperto e continuativo sul contenuto dei nuovi concetti. Nessuna posizione o resistenza organizzata si è a tutt’oggi manifestata. Tutto si è svolto senza rumore, per via consensuale, di facilitazione, attraverso campagne di sensibilizzazione e di coscientizzazione.
I gruppi di pressione che promuovo la nuova cultura aggirando gli stati nazionali
La rivoluzione si è prodotta al di sopra (all’ONU) e al di sotto (sul piano di ciò che viene denominato “movimento della società civile”) del livello nazionale. I veri “proprietari” della nuova etica non sono i governi e i cittadini che essi rappresentano, bensì i gruppi di pressione che perseguono interessi particolari che si sono impadroniti silenziosamente del potere normativo mondiale.
Un “cancro” che corrompe dall’interno senza cambiare le istituzioni
Avendo aggirato i principi democratici, la rivoluzione non ha sconvolto le strutture esterne delle istituzioni politiche. I radicali cambiamenti di mentalità e di comportamento si sono prodotti all’interno delle istituzioni, all’interno delle famiglie, delle scuole, degli ospedali, delle aziende, dei ministeri, dei governi, delle culture, delle organizzazioni religiose – della Chiesa. Ciò spiega come ancora il pericolo non sia stato identificato dalla maggioranza delle persone.
Cronistoria della rivoluzione culturale
Come è avvenuta la rivoluzione culturale? La congiuntura storica che si è verificata in seguito alla caduta del muro di Berlino ha facilitato la presa del potere normativo mondiale da parte delle minoranza attive nel seno delle organizzazioni internazionali e, in particolare, dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, l’ONU. Queste minoranze (tutte persone imbevute di una mentalità relativista, nichilista, post-sessantottina), una volta assunti ruoli direttivi nell’ONU, hanno poi imposto a tutti la loro visione del mondo dando avvio a una rivoluzione culturale globale. Questi i passaggi principali:
- 1989: fine della guerra fredda e nuove aspirazioni dell’umanità (riconciliazione tra i popoli, partecipazione della base nelle decisioni, integrazione cosciente delle questioni umane e ambientali nelle politiche, sussidiarietà, giustizia, dialogo autentico fra le culture e le religioni, reciproco rispetto)
- Anni ’90: la globalizzazione si diffonde a livello planetario
- L’ONU si propone (e si impone) come “autorità morale universale”
- L’ONU si fa portavoce di una nuova etica globale che renda “etica e umana” la globalizzazione.
- L’ONU crea un consenso mondiale attorno alla sua “nuova etica” con 9 conferenze mondiali (1990-1996): educazione (Jomtien, 1990); infanzia (New York, 1990); ambiente (Rio, 1992); diritti umani (Vienna, 1993); popolazione (Il Cairo, 1994); sviluppo sociale (Copenhagen, 1995); donne (Pechino, 1995); habitat (Istanbul, 1996); sicurezza alimentare (Roma, 1996).
- Dal 1996 ad oggi: l’ONU applica i principi elaborati nelle 9 conferenze, emanando documenti programmatici e assicurando finanziamenti a chi li applica.
Alcune “storture” della rivoluzione culturale
- “Consenso mondiale” o imposizione di una élite ideologica di “esperti”?
- 1989. Fine delle utopie politiche: solo le “questioni pragmatiche neutre” contano! (Degrado ambientale, disuguaglianza fra i sessi, crescita demografica, violazione dei diritti umani, crescita della povertà, mancanza di accesso alle cure etc).
- La scienza e la tecnica, che pretendono di poter risolvere tutte le “questioni pragmatiche”, sono davvero “neutre”? Chi orienta, influenza e dirige le agenzie dell’ONU?
- La collaborazione fra attori governativi e non governativi (principio di partenariato) favorisce veramente la democrazia?
- I nuovi standards politici sono dettati dai governi legittimi o da gruppi di interesse?
- I cittadini del mondo sono coinvolti nel “consenso globale” o lo subiscono come una dittatura?
Radici culturali: post-modernità e radicalismo
La post-modernità
La rivoluzione culturale ha trovato il suo equilibrio nella postmodernità. La postmodernità primariamente destabilizza o decostruisce la modernità – vale a dire la sintesi culturale che ha prevalso in Occidente a partire dai trattati di Westfalia (1648). La postmodernità, da un certo punto di vista, presenta un carattere provvidenziale in quanto ha contestato gli abusi della modernità quali il razionalismo, l’istituzionalismo, il formalismo, l’autoritarismo, il marxismo e il pessimismo liberale. Tuttavia, nei suoi aspetti radicali, essa spinge ancora più lontano della modernità l’apostasia occidentale.
Una “nuova teologia” alla base della “nuova etica”
La trascendenza di Dio è stata relegata “all’altra riva”, consegnando l’immanenza all’uomo: Dio non ha niente a che fare con la vita dell’uomo, con la realtà concreta, l'”immanente”, se mai qualcuno vuole ancora parlare di Dio, può farlo ma solo in un ambito privato e “spirituale”, “ultraterreno”, che non incide sulla realtà concreta dell’esistenza.
Dal XVIII sec. in poi è stata progressivamente decostruita l’identità più profonda della persona in varie tappe: 1) Deismo = fine del Padre celeste; 2) Freud = morte del padre; 3) femminismo = morte della madre; 4) rivoluzione sessuale = morte dello sposo/sposa (al suo posto i “partner”, multipli e temporanei). Il deserto sociale creato dalla scomparsa di padre, madre, sposo, figlio, figlia, (cioè della famiglia), è stato colmato, a partire dagli anni ’60, dagli “ingegneri sociali” (soprattutto francesi e americani) che hanno avviato un progetto di ricostruzione della società su base secolarista (la “civilizzazione non repressiva” di Marcuse) nel quale uno degli imperativi è che tutte le “scelte” siano trattate ugualmente (aborto, eutanasia, gender, etc.).
Primo postulato della post-modernità: la realtà non ha un contenuto oggettivo, tutto è costruzione sociale e interpretabile in vario modo
Una verità e una realtà, di fatto, in sé, non esistono. Se dunque il “dato” non esiste, allora le norme e le strutture sociali, politiche, giuridiche, spirituali possono venire decostruite e ricostruite a piacere, secondo le trasformazioni socioculturali del momento e la scelta dell’individuo. L’etica globale postmoderna celebra le differenze, la diversità delle scelte, la diversità culturale, la libertà culturale, la diversità sessuale (differenti orientamenti sessuali). Questa “celebrazione” è in realtà quella della “liberazione” dell’uomo e della donna rispetto alle condizioni esistenziali nelle quali Dio li ha situati: è la distruzione della comprensione razionale e teologale dell’uomo e dell’universo.
Secondo postulato della post-modernità: la liberazione da qualsiasi quadro normativo
L’individuo, per poter esercitare il suo diritto di scelta, deve potersi “liberare” di qualsiasi sistema di norme – sia esso semantico (definizioni chiare), ontologico (l’essere, il dato), politico (la sovranità dello stato, l’autorità morale del governo), morale (le norme trascendenti), sociale (i tabù, i divieti), culturale (le tradizioni) o religioso (l’insegnamento delle religioni, la dottrina della Chiesa). Tale pretesa “liberazione” diventa un imperativo della nuova etica post-moderna.
Differenza fra la “nuova etica” e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo
Quando, nel 1948, è stata adottata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, la cultura occidentale ancora riconosceva l’esistenza di un ordine “dato” all’universo. I diritti umani dovevano allora essere semplicemente riconosciuti, dichiarati, non fabbricati ex nihilo, in quanto inerenti alla natura umana. L’universalità dei diritti possedeva una dimensione trascendente e, di conseguenza, delle implicazioni morali. La nuova etica globale non ammette invece nessuna “legge naturale”, nessun riferimento trascendente, nessun “ordine” che precede le scelte arbitrarie dell’uomo (cosa che tutti i padri della Dichiarazione del ‘48 davano per scontata).
L’unico “principio universale” rimasto è il “diritto di scelta”
La postmodernità rivendica il diritto di esercitare la propria libertà individuale contro la legge naturale, contro le tradizioni e contro la rivelazione divina. Essa rifonda lo stato detto “di diritto” e la democrazia sul diritto di scelta, nel quale include il diritto di compiere scelte anche intrinsecamente cattive: aborto, omosessualità, “libero amore”, eutanasia, suicidio assistito, rifiuto di ogni forma di autorità o di legittima gerarchia, “tolleranza” obbligatoria di tutte le opinioni, spirito di disubbidienza che si esprime in forme tanto numerose quanto varie.
Principio metodologico adottato: evitare ogni definizione chiara per permettere ai paradigmi post-moderni di adattarsi ad ogni “scelta” individuale
Gli esperti che hanno forgiato i concetti tipici del nuovo linguaggio hanno esplicitamente rifiutato di definirli chiaramente, adducendo l’argomento che definirli significherebbe limitare la possibilità di scegliere l’interpretazione che si vuole loro attribuire e ciò verrebbe a contraddire la regola del diritto di scelta. Di conseguenza, i paradigmi postmoderni non si collegano ad un significato stabile e univoco: essi costituiscono, per così dire, degli spazi di interpretazione, dei processi di perpetuo cambiamento, che si espandono indefinitamente nella misura che i valori della società vanno trasformandosi ed emergono nuove possibilità di scelta, che a loro volta ampliano e modificano l’interpretazione dei nuovi paradigmi. Gli ingegneri sociali li definiscono “olistici” in quanto sarebbero inclusivi di “tutte” le scelte possibili.
Decostruzione antropologica della persona umana
Secondo l’etica postmoderna l’individuo è il “libero” creatore del suo destino e di un nuovo ordine sociale. Egli può scegliere di essere omosessuale oggi e bisessuale domani (orientamento sessuale). I bambini possono scegliere la propria opinione, indipendentemente dai valori che ricevono dai loro genitori (diritti dei bambini). Gli allievi e gli studenti scelgono il loro proprio curriculum a scuola e all’università, si educano l’un l’altro (educazione fra pari), e gli insegnanti e i professori diventano dei semplici “facilitatori”. Il contenuto dell’educazione non comporta più delle conoscenze stabili e oggettive, ma diviene un mezzo per acquisire “competenze per vivere bene”, delle tecniche per rivendicare i propri diritti, proteggersi dalle malattie e godere del maggior grado di benessere. I gruppi di donne “chiarificano” la dottrina della Chiesa e la democratizzano (chiarificazione dei valori, democrazia partecipativa). La lobby dell’eutanasia si fa accanito difensore della “dignità umana”. Siamo tutti cittadini eguali che godono di eguali diritti, legati gli uni agli altri da relazioni contrattuali prive di amore. Ciò che l’etica globale innanzitutto decostruisce è la struttura antropologica della persona umana.
La nuova gerarchia di valori dell’etica post-moderna
L’etica globale pone il piacere al di sopra dell’amore, la salute e il benessere al di sopra della sacralità della vita, la partecipazione alla buona governanza dei gruppi radicali al di sopra della rappresentanza democratica, i diritti delle donne al di sopra della maternità, l’autonomia dell’individuo egoista al di sopra di ogni forma di autorità legittima, l’etica al di sopra della morale, il diritto di scelta al di sopra della legge eterna inscritta nel cuore dell’uomo, la democrazia e l’umanesimo al di sopra della rivelazione divina – in sostanza, l’immanenza al di sopra della trascendenza, l’uomo al di sopra di Dio, il “mondo” al di sopra del “cielo”.
Un nemico “invisibile”
In passato, ciò che l’Occidente chiamava «nemico» (come, per esempio, il marxismo-leninismo, le dittature sanguinarie) era chiaramente identificabile. Nella civiltà postmoderna, il nemico è inafferrabile, nascosto, interno alle istituzioni, “amichevole”, diffuso, incoerente, decentralizzato, silenzioso, invisibile, globale. Le sue strategie sono dolci e sottili, operanti dalla base, culturali, informali. Il loro risultato finale è la decostruzione dell’uomo e della natura e la diffusione culturale dell’apostasia nel mondo, in particolare nei paesi in via di sviluppo.
Una cultura da evangelizzare
Tuttavia, come i sistemi ideologici precedenti, anche l’etica globale finirà per autodistruggersi. Minata da contraddizioni interne, non è duratura e crollerà. La civiltà mondiale emergente non necessariamente, però, sarà in grado di ritornare da sé al buon senso ai valori tradizionali: la nuova cultura deve essere evangelizzata. La nuova civiltà mondiale è chiamata ad esser quella dell’amore. La nuova cultura globale postmoderna è la cultura che la Chiesa è chiamata a evangelizzare.