Non possiamo esimerci dall’intervenire sul fatto della partecipazione del rapper Junior Cally (al secolo Antonio Signore, nato a Roma nel 1991) al prossimo festival di Sanremo. Non possiamo tacere, spinti, innanzi tutto, da una preoccupazione educativa che investe i nostri nipoti e tutti i giovani, soprattutto quelli minorenni: molti di loro, purtroppo, assisteranno al Festival e assisteranno ad una testimonianza comunque negativa, poiché essa stimola soltanto la più becera curiosità. Innanzi tutto, il rapper apparirà mascherato (e non per gioco). Forse per vergogna? Prima contraddizione, questa, del “politicamente corretto”, che combatte il velo delle donne islamiche e poi permette l’apparizione di un comune rapper (illecitamente ritenuto ‘star’ da qualcuno), di cui viene tenuta accuratamente nascosta l’identità.
Con questo alone di mistero, il nostro rapper ha composto, cantato (si fa per dire) e divulgato per video alcune canzoni oscenamente inneggianti alla violenza sessuale sulle donne ed alla violenza in sé contro tutto ed è per questo che è diventato “famoso”. I giovani, cioè, vedrebbero osannato sul palcoscenico di Sanremo un simbolo violento, che non potrebbe non indurre ad altra violenza, per l’istintivo fascino di una diversità che ha il solo obiettivo di affermarsi andando programmaticamente “contro” qualsiasi cosa, secondo la logica irrazionale del “bullismo”. Ancora una volta, viene abbandonata ogni preoccupazione educativa, proprio nel momento in cui è sempre più chiaro che l’educazione costituisce l’emergenza più delicata, perché l’educazione è l’unico strumento per salvaguardare tutti dal gioco stupido e assurdo dell’istintività di distruggere tutto per affermare se stessi. Il bullismo è l’affermazione di un vuoto potere senza contenuto e solo cattivo: è l’istigazione al branco animalesco.
Confidiamo e chiediamo che la RAI (ma chi è quel genio della RAI che ha preso la decisione di invitare questo rapper?) ci ripensi e faccia in modo che JC, a cui nel frattempo è stata fatta una pubblicità spropositata e immeritata, non partecipi ad un evento che ha un riflesso immenso sul costume del nostro Paese, che, tra l’altro, sta già vivendo una contraddizione enorme, per la quale si viene processati se si dice che per l’educazione di un bambino occorre la presenza di un papà e di una mamma, mentre si possono liberamente cantare canzoni inneggianti alla violenza sulle donne.
Come detto, la nostra preoccupazione è soprattutto educativa. Questa circostanza può e deve essere l’occasione per ripensare comunitariamente a che cosa significhi educare. Senza una educazione, un Paese è destinato a disfarsi, come stiamo già constatando. A questo, comunque e da subito, ci opponiamo e invitiamo tutti ad opporsi.
Peppino Zola