Che valore e che senso ha la vita umana? È questa in sostanza la grande questione di fondo, sin qui censurata dalla cultura dominante, che la pandemia del Coronavirus/Covid-19 ha riportato bruscamente alla ribalta. Il suo valore e il suo senso sono costanti oppure descrivono una parabola che parte da un punto minimo per salire fino ad un culmine e poi discendere di nuovo fino a un minimo?
Raggiunge cioè un vertice di valore quando la persona è al massimo della forma fisica, del vigore mentale e della capacità produttiva attuale e prevedibilmente futura, mentre invece prima e dopo vale molto meno se non niente (rendendo perciò leciti l’aborto da un lato e la sospensione delle cure dall’altro)?
In teoria la risposta può anche essere facile. Che fare però in circostanze in cui i mezzi di cura o rispettivamente di salvataggio non consentono la terapia o il soccorso simultaneo di tutti coloro che nell’immediato ne necessitano?
Con riguardo ai più anziani la questione si è posta in modo specifico nel caso appunto del Coronavirus/Covid-19. Con la sua improvvisa e rapida diffusione questo morbo ha provocato in varie circostanze uno squilibrio non immediatamente rimediabile tra la disponibilità di certe apparecchiature medicali e il numero dei malati che ne necessitavano. Che fare in situazioni del genere? Vale l’ordine di arrivo, in base al quale chi via via sopraggiunge accede a tali apparecchiature mano a mano che altri non ne hanno più bisogno, oppure è lecito far entrare in gioco altri criteri? Senza poter entrare qui nel merito del problema (che non è certo facile e che merita di venire attentamente meditato), sottolineiamo tuttavia che non lo si può risolvere, come già sembra accadere in alcuni Paesi del Nord Europa, assumendo semplicemente quale criterio l’età e la capacità produttiva del paziente.
All’inizio dell’emergenza Coronavirus, in particolare nelle loro veste di nonne e di nonni, gli anziani in Italia ebbero anzi un loro quarto d’ora di popolarità, quando sembrò potessero venire impiegati in massa (ancora di più del solito) come custodi e precettori dei nipoti rimasti in casa a seguito della chiusura delle scuole. Ben presto però si scoprì che ciò in linea generale non era consigliabile, essendo gli anziani risultati particolarmente vulnerabili da tale virus.
L’interesse per loro allora non venne meno, ma cambiò di segno. Molti cronisti e commentatori, cominciarono a lasciarsi sfuggire qualche sospiro di sollievo osservando che i numerosi anziani morti a causa del virus “erano comunque già vecchi e malandati…”. Come se, ciò considerato, tali morti fossero un male minore, insomma per così dire un costo sostenibile. In realtà nessuna morte è mai un “male minore”. Dietro a ogni morte c’è un mistero doloroso e insondabile, che non possiamo giudicare e che capiremo solo quando anche noi varcheremo quella soglia.
In seguito va riconosciuto che il clima è un po’ cambiato, fino al punto che persino il sindaco di Milano, Beppe Sala, di cui sin qui non si conoscevano espressioni evidenti di sensibilità umana, ha pubblicamente manifestato il proprio compianto per i numerosi anziani stroncati dal Coronavirus. Con loro, ha osservato lodevolmente quasi commosso, sta scomparendo la generazione cui si deve molta della rinascita di Milano dalle macerie della Seconda guerra mondiale.
Il riconoscimento di tale merito storico è meglio di niente, ma varrebbe la pena di riaccorgersi anche del ruolo sociale ed educativo che con la loro testimonianza, ma talvolta anche solo con la loro presenza, gli anziani hanno più che mai oggi; in particolare, anche se non solo, in quanto nonne e nonni. Per i più giovani, e ovviamente in particolare per i loro nipoti, sono infatti il primo tramite di una storia e di legami familiari e culturali oggi non meno indispensabili di ieri.
Molti dei temi premiati scrivono della morte dei nonni e del vuoto che essa ha lasciato nella vita e nel cuore dei giovani nipoti. Riferendosi a questa situazione, la vincitrice delle scuole superiori, in un commovente componimento, rievocando la nonna infine anche silenziosa e assente a causa della malattia, ha scritto tra l’altro: “E’ doloroso ma è bellissimo, è come una presa di coscienza. Mi hai segnata profondamente, eri completamente assente e allo stesso tempo avvertivo potentissima la tua presenza, eri immobile eppure percepivo in te un’energia quasi violenta”. Una studentessa della prima media ha scritto: “per me i nonni sono la roccia della famiglia, sono importanti perché arricchiscono il cuore di amore”. Ed uno studente di terza media ha scritto: “caro nonno, tu sei stato per me un grande maestro di vita. Mi hai insegnato quelli che sono i valori più importanti che conservo gelosamente nel cuore, soprattutto in un’epoca in cui alcuni di questi si sono quasi estinti”. Ed un’altra ragazza di terza media scrive: “in loro ritrovo le mie antiche origini, nei tratti del loro volto e nel loro modo di essere riscopro chi sono e chi vorrei essere”.
I nipoti capiscono il ruolo fondamentale dei nonni e quando essi vengono a mancare ne scoprono ancora di più tutto il valore determinante per la loro vita. Ogni nonno che manca senza che se ne salvi la memoria costituisce una perdita per la nostra storia e, quindi, per il nostro spessore umano. Quindi in ogni caso non lo si può considerare come un «vuoto a perdere». Il fatto che una persona non produca più, e non sia più al meglio del proprio stato mentale e fisico, non costituisce di per sé un motivo sufficiente per metterlo in fondo alla lista. Non è che il problema non ci sia, ma è ben più drammatico e ben più complesso.