Incontro pubblico del 9 marzo sul fine vita
Roberto Colombo sacerdote e docente alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica di Roma, nonché responsabile del Centro per lo studio delle Malattie Ereditarie Rare all’Ospedale Niguarda di Milano, ha analizzato con profusione di dati statistici e visualizzazioni grafiche e chiarendoci termini, condizioni e modalità, le variatissime fattispecie nelle quali può svolgersi la triste procedura che porta alla conclusione, comunque artificialmente anticipata, della vita di una persona.
Il nostro associato Paolo De Carli, già Notaio e Professore ordinario presso l’Università degli Studi di Milano ci ha invece fatto chiarezza sui contenuti del DDL sulla “DAT”, che verrà sottoposto a breve al voto della Camera e probabilmente approvato nei termini del documento presentato; tutto o in parte potrebbe invece cambiare nel successivo passaggio al Senato, vista la sua diversa composizione politica.
Personalità del mondo cattolico hanno commentato le recenti leggi, quali le unioni civili, come sconfitte.
Ma le sconfitte si possono definire tali solo se c’è stato una battaglia, altrimenti si chiamano resa. Sono contento di vedervi disposti alla battaglia. Occorre fare una distinzione importante su alcuni termini: A) il termine eutanasia, B) il termine testamento biologico, C) l’acronimo DAT – che può significare due cose: dichiarazioni anticipate di trattamento oppure, come la proposta di legge ha previsto, direttive anticipate di trattamento – e infine D) la parola suicidio assistito. Vediamo intanto la parola eutanasia: viene distinta in involontaria e volontaria, la involontaria è definita come soppressione della vita di una persona per togliere il dolore, è quella che ha riguardato la questione della infermiera di Saronno, è togliere la vita ad un paziente senza la sua volontà per questo “involontaria”. In Italia non c’è legge ancora. Eutanasia volontaria è invece quella che avviene con il consenso diretto dell’interessato. A sua volta viene distinta in eutanasia attiva e passiva. Quella attiva prevede la morte del soggetto solitamente con la somministrazione di una dose letale di un narcotico; l’eutanasia passiva prevede invece la sospensione di un trattamento vitale in atto, necessario per sostenere le funzioni cardiocircolatorie e altre funzioni indispensabili per la vita del soggetto. Per il testamento biologico c’è un esempio sul sito della fondazione Veronesi ed è stato depositato da anni. Esso risponde alla domanda: “Cosa vuoi fare della vita quando non vuoi più vivere?” Può riguardare sia eutanasie attive che passive. La sigla DAT significa dichiarazione anticipata fine trattamento. Si colloca dentro il rapporto medico paziente e in quell’aspetto fondamentale della cura che è il consenso informato. Con essa si devono favorire le opzioni del malato rispetto alle prospettive terapeutiche che gli vengono offerte. Le opzioni possono essere fatte contestualmente, nell’atto del consenso informato, o anzitempo, come in altri paesi succede, prevedendo ipoteticamente la situazione critica in cui ci si potrebbe venire a trovare (nel peggioramento di una malattia cioè di una patologia degenerativa); nel presupposto che in quel momento non si abbia la capacità di intendere e di volere, eventualmente si designa un proprio legale rappresentante. Il testo di legge che è in circolazione recita “direttive” anticipate di trattamento e usa un termine più vincolante del termine “dichiarazioni”. Si può osservare che uno può disporre di una cosa quando ne è proprietario, (vedi la questione del testamento in cui si dispone dei propri beni), qui si presume che ognuno di noi sia il proprietario della propria vita. Importante osservare che non c’è distinzione così netta tra il testamento biologico e l’eutanasia volontaria, anzi c’è sovrapposizione. Infatti occorre quasi sempre una pratica eutanasica per soddisfare il testamento biologico.
Chi sostiene Il testamento biologico dunque implicitamente approva l’eutanasia volontaria, poco chiara è anche la distinzione tra eutanasia volontaria passiva e dichiarazioni anticipate di trattamento. Dove c’è in vigore questa dichiarazione ci sono due direttive, una è la sospensione delle terapie futili, che sono quelle che non hanno come aspettativa di migliorare le condizioni di vita del soggetto. Impropriamente vengono chiamate accanimento terapeutico e sono un termine rifiutato da anestesisti e rianimatori perché è penalizzante per la loro attività. L’altra direttiva è la sospensione della nutrizione e della idratazione. Importante notare la strumentalizzazione che è stata fatta del dj Fabo che è andato in Svizzera per suicidarsi. Ciò non ha niente a che vedere con le DAT (che non erano ancora state approvate). Infatti il tipo di morte cui è andato incontro questo malato non ha niente a che vedere con la sospensione della idratazione e della nutrizione. È un suicidio assistito, non una eutanasia volontaria; ora l’eutanasia volontaria, in quanto omicidio formale di un consenziente, è una dizione che non appare nelle leggi straniere, perché i Giuristi dicono che è difficile appurare e evitare abusi. Allora si è utilizzata la legge del suicidio assistito, cioè della collaborazione formale e materiale al suicidio. Questo consente la depenalizzazione dei medici. In Svizzera ci sono delle casette tipo pensione senza infermieri, la persona che vuole il suicidio arriva in albergo, viene chiamata dai medici che hanno l’obbligo di dissuaderlo, ogni dialogo è registrato, se la persona persiste, si pone nella stanza, il medico gli porge la sostanza, si fa in modo che sia lui a iniettarsi la sostanza, anche se prima viene di nuovo invitato a rinunciare, viene filmato il tutto. Il medico esce dalla stanza, appunto per non essere autore, per lavarsene le mani e resta solo un parente. Poi viene chiamata la Polizia Cantonale e il medico legale, diverso dal medico che ha permesso il suicidio assistito, stila un atto di morte per atto suicidario
La salma viene incenerita in modo che non si possono fare indagini medico-legali successive per una cifra che va dagli 8.000 ai 10.000 euro.
In assenza di leggi specifiche, fino ad ora sono state ritenuti validi tutti quei riferimenti ai codici e alla Costituzione. Tutti questi riferimenti ci possono far dire che è stata forte la tutela della vita sino ad ora. La Costituzione del resto stabilisce all’articolo 2 la tutela della vita umana, al 5 la tutela della libertà fisica della persona, e il divieto di fare violenza a qualsiasi tipo di persona. La tutela della salute è in una formulazione particolare: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto della persona e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, la legge in nessun caso può violare limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Qui vediamo che è già risolto, in qualche modo, il conflitto tra la tutela della vita e la tutela della Libertà del singolo, si pensa anche che ci si siano cure che possono non essere scelte dal malato, c’è dunque un bilanciamento. Ci sono poi le norme del Codice Penale 579- 580, dove si sanziona l’omicidio consenziente e l’istigazione al suicidio. Ci sono poi altri elementi nella panoramica legislativa precedente questo progetto di legge. Il più importante è il Consiglio di Oviedo, la convenzione deliberata dal Consiglio d’Europa nel 1997 sulla tutela dell’essere umano in tutte le sue possibili modalità; questa convenzione è rimasta in stand-by: l’abbiamo ratificata ma non l’abbiamo depositata al Consiglio d’Europa, soprattutto in mancanza dell’approvazione di leggi attuative interne. In qualche modo il testo di legge di cui si discute alla Camera è un’attuazione di questa convenzione, ma il testo della convenzione è molto meno radicale sulle DAT, perché tiene conto delle regole che regolano l’attività del medico, la sua deontologia professionale e non si attribuisce all’autodisciplina del paziente quel largo spazio di decisione che questo progetto comprende; c’è dunque contraddizione
La convenzione ammetterebbe in qualche modo che i medici non hanno la necessità del consenso del paziente, nei casi di urgenza; nei casi in cui il grave rischio della perdita della vita possa portare il medico ad operazioni o ad interventi, questo può essere fatto anche in assenza o forse in contrasto con la volontà espressa magari in altri momenti dal paziente. Tutto quello che precede il testo proposto fa parte della nostra tradizione giuridica e del concetto della dignità della persona, della tutela della vita, della libertà; se crollano, crolla tutto un sistema giuridico. Abbiamo dunque una grande responsabilità in questo momento: ci sono dei valori a cui formare, a cui istruire, essi devono essere condivisi da chi in Europa viene ad abitare, perché su questi valori è costruita tutta la civiltà giuridica. Nel disegno di legge invece c’è un’assoluta prevalenza dell’autodecisione del soggetto rispetto a tutti gli altri elementi che possono essere considerati. Il punto centrale è il consenso informato Noi siamo abituati a pensare il consenso informato come una informazione sui rischi che possono accompagnare una terapia, con il suo consenso il paziente li accetta. Nel testo di legge il paziente può rinunciare alle pratiche delle cure di idratazione di nutrizione, è il paziente che sta scegliendo il maggior rischio per la sua salute e la sua cura, il medico è molto poco considerato Sostanzialmente è obbligato a seguire le indicazioni del paziente, comprendenti sia la interruzione sia la rinuncia totale del trattamento. Si costringe così la coscienza del medico, il quale dovrà andare oltre le sue norme deontologiche, per di più non è prevista la possibilità di sollevare l’obiezione di coscienza, il medico deve seguire le direttive perché così sarà esente da ogni responsabilità civile e penale. Dunque si tratta di un capovolgimento della tutela della vita. Nel dibattito della commissione l’obiezione di coscienza, proposta da alcuni cattolici non è stata accolta. L’eutanasia è esattamente lo scopo di questa legge, è una porta che viene aperta da questa legge
Se Vogliamo definire il passo avanti, rispetto alla legislazione precedente, contenuto in questo progetto, possiamo dire che è l’eutanasia passiva, e anche, nel caso in cui venga accettata in modo eccessivo una terapia del dolore, essa potrebbe dar luogo a un’idea di eutanasia attiva indiretta perché la causa della morte non sarebbe la malattia precedente ma un eccesso di terapia del dolore, infatti ci sono quantità di morfina che uccidono, quindi bisogna vedere in che modo viene usata la morfina. Si potrebbe anche dire che con questa legge si apre una porta al suicidio assistito che sostanzialmente potrebbe avvenire proprio attraverso un eccesso di cure palliative, insomma uno potrebbe ordinare la propria morte al medico curante.
Sono pienamente d’accordo con quanto ha detto il professor De Carli; non solo la morfina, ma altri farmaci derivati da essa sono dei depressori della respirazione. A questo punto resta aperta una grande questione, la più complessa. Cioè possiamo chiederci da dove nasca questo problema: stiamo parlando del problema più ampio del suicidio o ci troviamo in un più particolare caso del desiderio e della domanda di suicidio? Noi ci troviamo in un contesto estremamente medicalizzato, ci sono stati suicidi di pazienti fuori dal contesto medicalizzato, sono casi diversi, ben distinti. Bisogna essere consapevoli che c’è un eccesso della medicina ancora prima dell’accanimento terapeutico, perché c’è un massiccio ingresso delle tecnologie riabilitative hi-tech che ha portato a migliorare aspettative di sopravvivenza in molti casi. Ha dato la possibilità di recupero di soggetti in situazioni critiche ma ha anche creato molti problemi. Tra parentesi, per dare un’idea dell’incidenza del suicidio, i dati Istat del 2002 ci dicono che noi abbiamo avuto in quell’anno più di 4162 suicidi, una stima al ribasso perché molti casi non sono stati censiti o il certificato di morte non fa cenno al suicidio. Nella fascia di età tra i 15 e i 45 anni il suicidio rappresenta la seconda causa in assoluto delle morti dopo quella degli incidenti stradali automobilistici. Ma torniamo a puntualizzare che cosa succede attraverso le nuove tecnologie: è cambiato il luogo dove termina la vita degli italiani, nel 1991 più del 60% moriva in casa, nel 2011 siamo a poco più del 40%. Dunque la morte è circondata da medicalità. Se guardiamo poi i dati Istat del 2012, vediamo che le cause di morte coinvolgono malattie che si protraggono per lungo tempo con esiti incerti, cronicizzanti, altalenanti, degenerativi. Le cause di morte più diffuse sono i tumori e sappiamo quanto siano lunghe le malattie di questo tipo, poi ci sono le malattie cerebrovascolari, poi tutte le malattie degenerative. Esse sono potentemente aggredite dalle cure Intensive hi-tech, anche se il soggetto non ritorna alle condizioni di vita precedente. Varie sono le traiettorie cliniche che queste malattie creano verso il decesso; ad esempio, nel caso delle neoplasie, la traiettoria può essere lunga, poi c’è un calo improvviso, questa traiettoria si presterebbe all’idea che un soggetto anzitempo detti le sue condizioni. Ma questo è uno dei casi, guardiamo invece quello che succede nel caso di un compensato cardiaco, qui i declini e le riprese sono totalmente imprevedibili e complesse, in questi casi fare una pianificazione delle cure non è facile. Poi ci sono le malattie neurodegenerative che hanno un decorso lento ma progressivo. Con le terapie Intensive la mortalità sta diminuendo, prima moltissimi pazienti nelle stesse condizioni sarebbero andati verso la morte certa. Questo pare un buon passo ma chiediamoci cosa succede se ci troviamo di fronte un soggetto che entra in un tipo di crisi cardiocircolatoria o altro. Con le nuove tecnologie possiamo stabilizzare il paziente, ma fino a quando può continuare questa stabilizzazione? Ci sono alcuni possibili andamenti: c’è una stabilizzazione che va avanti per anni e poi inizia il processo degenerativo, ci sono stabilizzazioni che consentono, se non di ritornare come prima, però di uscire dall’ospedale in buono stato, ma c’è anche il paziente stabilizzato che tende a regredire. La Chiesa dice che ci si può limitare ad alcune cure e non ad altre, se vi sia scarsa possibilità di successo o se siano considerate troppo onerose per il paziente. D’altra parte la Chiesa dice “non potete sospenderle”, così si è aperto un grande dibattito tra il non iniziare e il sospendere. Qual è la differenza tra il non iniziare e il sospendere? Una differenza esiste e in questo sono alleato con tanti che hanno sviluppato questo tipo di pensiero. Mettiamo il problema in termini concreti che si possano capire: se io ho iniziato la ventilazione di un soggetto riabilitato e lo metto in una condizione che non lo riporta alla situazione precedente, posso a un certo punto sospendere questo supporto vitale al soggetto? Qualcuno dice: se avete ammesso che potevate non iniziare perché adesso non ammettete di smettere? Tenendo presente che gli esempi non hanno mai valore assoluto, esemplifico con il soccorso ai profughi nel canale di Sicilia: immaginate una notte di tempesta, si viene avvisati che ci sono barconi, si dice ai marinai di Lampedusa di uscire con le barche e di valutare la situazione. È sera, è buio, non c’è più supporto degli elicotteri, il mare molto forte, i pescatori rischiano grosso e si dicono “non arriveremo in tempo perché alcuni di questi sono già nel mare ghiacciato”. Secondo voi hanno torto se decidono di non muoversi? Non sono tenuti a esporre la vita propria. D’altra parte immaginate un naufrago che non ce la fa più e si lascia andare, non si è suicidato! Immaginiamo poi che la nave è riuscita a uscire e ha pescato due o tre di queste persone. Ma, una volta saliti i naufraghi sulla nave, il marinaio riconosce in uno dei tre un miliziano dell’Isis… Il marinaio può buttarlo giù dalla nave? No, perché, dato un rapporto una relazione di aiuto non è più come prima. Lo stesso per il paziente: una volta che tu medico l’ha lì, c’è una relazione con lui. Immaginiamo quello che invece è naufrago, è riuscito ad arrivare a riva e si sente dire “no, qui non c’è posto per te”. Allora si butta da una roccia. Si suicida? Certamente sì perché non ha avuto la forza di resistere! Tornando al medico, se il medico ha portato in condizioni di stabilità un paziente come potrebbe poi togliergli i soccorsi vitali? Decisivo è stato l’intervento della Chiesa a proposito della vita. Chiediamoci: noi guardiamo la qualità della vita, la quantità della vita o il fatto che la vita appartiene ad un Altro ed è sacra? Su queste domande e sulle risposte si gioca gran parte del dibattito più teorico su queste disposizioni. Per noi spesso è importante la quantità della vita (è stata testimoniato anche dai medici che presero in cura Immediatamente dopo l’incidente la Englaro: i genitori avevano chiesto di salvarla ad ogni costo, poi il padre ha fatto prevalere il tema della qualità della vita). Veniamo al punto della sacralità della vita, vediamo quello che succede in casi di coma post-anossico, per esempio dopo un infarto. Viene praticato un intervento di supporto cardiocircolatorio, teniamo presente che la possibilità di sopravvivenza scende nel giro di 10 minuti e che dunque si deve intervenire nei primi minuti che sono fondamentali, cioè le probabilità salgono solo che se noi arriviamo a non far passare 6-10 minuti. Altrimenti e abbiamo una lesione cerebrale assai probabile ed estesa a diverse aree cerebrali. Questo porta ad una serie di situazioni, la prima di queste è il coma, uno stato di transizione, dal quale poi si passa a diversi esiti. Notate che tutto questo prima non c’era, non c’era per esempio lo stato vegetativo persistente (oggi non si dice più permanente perché si sono avuti dei casi di risveglio). Questo per dire che qualche domanda ce la dovremmo porre. A questo proposito cosa vogliamo suggerire al legislatore? Con i medici che scelte vogliamo discutere? Interroghiamoci a proposito dell’aggressività terapeutica nelle situazioni più acute, a proposito della tentazione dell’abbandono terapeutico che c’è dopo la stabilizzazione.
Consiglio come libro di lettura “Divisione C” di Solzenitsyin. Siamo in un reparto oncologico ci sono malati che vivono insieme e un certo punto uno di loro, un ingegnere minerario che sa tutto del suo campo, va in biblioteca. Trova un libro di Tolstoi che si chiede di che cosa vivono gli uomini, la domanda fa il giro di tutto il reparto, vengono coinvolti anche gli infermieri e ognuno cerca di dare la sua risposta.
Anche in assenza dell’approvazione di questa legge la questione del testamento biologico può essere una cosa utile da fare (basta dare i dati, firmare e avere due testimoni, si può anche indicare una persona che possa prendere delle decisioni in caso di perdita di facoltà). La proposta di legge prevede che poi queste cose vengano depositate presso il Sistema Sanitario Nazionale. Anche la disponibilità a donare organi può essere indicata prima perché poi non possono passare più di 20 minuti dalla morte.
Preciso che il testo che va ad essere discusso è prodotto del dibattito giurisprudenziale di questi ultimi tempi, sorto dai vari casi Englaro, Welby… tutto questo ci deve mettere in guardia rispetto alla bontà del progetto perché le varie istituzioni giuridiche in questi casi si sono applicate per ricostruire la volontà del malato rifacendosi alla sua vita precedente, cosa sempre molto difficile da stabilire perché c’è una forte distanza tra la dichiarazione anticipata e il tempo successivo, ci potrebbero essere in mezzo mutamenti sia sul fronte scientifico sia sul fronte della coscienza della persona. È fondamentale lasciare una certa elasticità in cui possono giocare un ruolo i medici e non solo l’autodeterminazione del paziente Questa potrebbe essere la ispirazione che potremmo avere noi circa Il progetto di legge.
Si veda la ricca nota allegata (clicca qui)
Le edotte esposizioni e il successivo scambio di domande/risposte con i presenti ci hanno consentito di meglio comprendere la portata di questo provvedimento che tenta di fornire norme comportamentali da tenere in momenti delicatissimi, senza di fatto poter fissare paletti certi; esso è quindi soggetto in futuro ad essere aperto e condurre a interpretazioni giudiziali che ne travalicherebbero lo spirito viagra pas cher primario, importando facilmente anche nel nostro paese forme estreme di eutanasia, come già avvenuto ad esempio in Olanda e Belgio.
Ed è in questa fase che anche come NONNI 2.0 possiamo fare passi per sostenere gli esponenti del mondo politico che ci sono vicini, facendo loro conoscere la nostra forte determinazione a difendere la sacralità della vita, cosa sulla quale nessun compromesso può per noi essere accettato.